Perché i due Paesi europei con l’industria automobilistica più forte sono gli unici a non aver risposto alla Commissione Ue sulla gestione del dieselgate?
(Rinnovabili.it) – C’è del marcio in Danimarca, recita Marcello, ufficiale dell’esercito danese nell’Atto I dell’Amleto. E sembra esserci del marcio anche in Italia e Francia, unici due Stati membri dell’Unione a non aver risposto alla richiesta di informazioni connesse al dieselgate da parte della Commissione europea.
Lo rivela l’agenzia Reuters che ha consultato fonti dell’esecutivo comunitario incaricate di indagare sulle violazioni delle norme sulle emissioni delle auto dopo lo scandalo Volkswagen.
Travolta da prove schiaccianti, l’azienda tedesca ha ammesso lo scorso autunno di aver utilizzato un software vietato per mascherare le emissioni di ossidi di azoto e – in Europa – anche della CO2. Scoperta dalle autorità statunitensi, la frode ora rischia di costarle decine di miliardi.
La Commissione europea ha proposto un nuovo regolamento per evitare altri scandali: in pratica si tratta di una sanatoria, che legalizza il fenomeno e consente ampi sforamenti degli inquinanti per i prossimi 5 anni. Nel frattempo, ha inviato una lettera a Volkswagen per chiedere informazioni, ma finora non vi è stata risposta. Una missiva è stata inviata da Bruxelles anche ai 28 Stati membri, chiedendo chiarimenti sull’operato delle autorità nazionali che conducono i test sulle emissioni. Guarda caso, nessuna replica è giunta dai due Paesi con l’industria automobilistica più forte dopo la Germania.
In Francia, a inizio gennaio, vi è stato un blitz delle autorità antifrode in alcuni stabilimenti Renault, per accertare l’irregolarità delle prove in laboratorio. Nel mirino degli inquirenti francesi, infatti, ci sarebbero motori turbodiesel Energy 1.6 dCi (130 e 160 cavalli), montati anche su automobili Daimler. Applicate a questo motore vi sono centraline Bosch Edc17, simili a quelle dei motori Volkswagen EA 189 finiti nello scandalo dieselgate.
L’Italia, dal canto suo, ha mostrato una palese ipocrisia nella gestione del caso. Al di là delle dichiarazioni pubbliche, governo e industria avrebbero fatto pressioni sulla Commissione (con successo) per indebolire le nuove regole sui test delle emissioni.