Non la siccità, ma le captazioni sono la vera causa del degrado dell'ecosistema del lago di Bracciano. Prelievi effettuati in gran parte dall'Acea
La causa del disastro al lago di Bracciano non è la siccità
(Rinnovabili.it) – Siccità o captazioni? Dopo un’estate che ha visto infuriare la battaglia politica sullo stato delle risorse idriche nel Lazio, arrivano le tanto attese relazioni dell’Ispra sulle cause del disastro ambientale occorso al lago di Bracciano. Pubblicate ieri, con due mesi di ritardo rispetto alle indagini sul campo, danno ragione ai movimenti per l’acqua bene comune e al Comitato per la difesa del lago, un gruppo di cittadini che a lungo si è speso, con esposti e azioni politiche, per far emergere la verità. E la verità è che le captazioni, soprattutto da parte dell’Acea, la multiutility che gestisce il servizio idrico in gran parte del centro Italia, sono state troppo invasive, al punto da contribuire in maniera determinante alla crisi dell’ecosistema lacustre.
I prelievi, in alcuni mesi del 2017, hanno superato i 1.200 litri al secondo. La relazione dell’Ispra segnala che hanno «comportato un importante depauperamento delle risorse idriche, potenzialmente in grado di superare la capacità autoricostitutiva della riserva del bacino lacustre stesso». Un fatto che ha mandato in tilt il bilancio idrologico del lago, con i deflussi di acqua (evapotraspirazione e captazioni) superiori agli afflussi (precipitazioni e sorgenti).
Tutto questo è potuto avvenire per la scarsa trasparenza dell’azienda, cui i cittadini chiedono la pubblicazione costante dei dati sulle captazioni. Cifre sconosciute perfino alla Regione Lazio, che ha ammesso la lacuna quando questa estate ha chiesto ad Acea con un’ordinanza di rendere nota l’entità dei prelievi. Anche le istituzioni hanno la loro quota di responsabilità: come scrive l’Ispra, «lo strumento di riferimento del Centro funzionale della Regione Lazio che avrebbe la competenza per legge del monitoraggio idrometrico è non funzionante dal 2014 per mancanza di fondi a supporto della manutenzione ordinaria e straordinaria».
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L’istituto segnala tuttavia che il costo della manutenzione di un idrometro si aggira intorno ai 2.450 euro l’anno e che è un obbligo di legge monitorare livelli idrometrici e portate, «necessari per effettuare stime sulla disponibilità e fruibilità della risorsa idrica». Oggi si spendono circa 4,6 milioni di euro per i monitoraggi, e basterebbero appena 1,2 milioni in più per consentire 5 misurazioni l’anno almeno nelle cosiddette “sezioni storiche” nelle regioni dove non si effettuano più.
L’abbassamento dei livelli del lago è causa di un degrado della qualità dell’acqua, che «pone dunque ancor più a rischio l’ecosistema lacustre e delle sue capacità auto-depurative. Ciò si tradurrebbe anche in una drastica riduzione della fruibilità della risorsa ai fini idropotabili, con necessità di trattamento e dunque con aumento dei costi sia per i gestori sia per gli utenti finali».
In questo quadro si inserisce la battaglia per la ripubblicizzazione dell’acqua nel Lazio, concretizzatasi in nella legge regionale n. 5 del 2014, esperienza pionieristica di recepimento del referendum del 2011. Tuttavia, serve una delibera dell’assessore Assessore Infrastrutture, Politiche Abitative ed Enti Locali Fabio Refrigeri. Per attuare la legge serve una sua firma, che a pochi mesi dalle elezioni non è ancora arrivata.