Passare dalle infrastrutture grigie a quelle verdi per rendere la gestione idrica più sostenibile e resiliente ai cambiamenti climatici. Questo il monito di un panel di esperti
Le infrastrutture verdi sono la sola soluzione alla crisi idrica mondiale
(Rinnovabili.it) – Oltre 5 miliardi di persone potrebbero in un futuro non troppo lontano conoscere gli effetti della crisi idrica mondiale. I cambiamenti climatici in corso, l’aumento demografico e un inquinamento delle risorse che non mostra segni di recessione, sono destinati, infatti, ad acuire un problema che già oggi affligge tutti i continenti. A lanciare l’allarme è il nuovo studio redatto dalle Nazioni Unite, dal titolo “Making Every Drop Count: An Agenda for Water Action”. Il report, pubblicato in vista della Giornata mondiale dell’Acqua (il 22 marzo) batte il martello su un problema ormai noto: lo stress su fiumi, laghi, falde acquifere, zone umide e bacini idrici sta aumentando.
Ma se da un lato il problema è oramai noto, dall’altro l’approccio risolutivo risulta essere di gran lunga inefficace. Secondo quanto riportato dal Global Water Forum, attualmente gli esseri umani consumano circa 4.600 chilometri cubici di acqua ogni anno, di cui il 70% va all’agricoltura, il 20% all’industria e il 10% alle famiglie. La domanda globale è aumentata di sei volte negli ultimi 100 anni e continua a crescere al ritmo dell’1% ogni anno. In questo contesto più di due miliardi di persone sono costrette a bere acqua non potabile e oltre 4,5 miliardi non ha accesso a servizi igienico-sanitari sicuri. Non solo. Circa l’80% delle acque reflue viene sversato direttamente nell’ambiente e le catastrofi legate all’acqua rappresentano il 90% delle 1.000 disastri naturali più devastanti dal 1990 a oggi.
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Siccità e degrado del suolo sono i due più grandi rischi da affrontare. “La siccità è probabilmente la più grande singola minaccia provocata dai cambiamenti climatici”, si legge nel documento. Entro il 2050, secondo il rapporto, tra 4,8 e 5,7 miliardi di persone vivranno in aree scarsamente idriche per almeno un mese all’anno, rispetto ai 3,6 miliardi di oggi, mentre il numero di persone a rischio di inondazioni aumenterà fino a 1,6 miliardi, da 1,2 miliardi. Nelle cosiddette drought belts (zone particolarmente aride che comprendono il Messico, il Sud America occidentale, l’Europa meridionale, la Cina, l’Australia e il Sudafrica) è probabile che le precipitazioni diminuiscano. Un deficit idrico che non potrà essere compensato da forniture sotterranee, un terzo delle quali è già in pericolo.
Anche la qualità dell’acqua si sta deteriorando. A partire dagli anni ’90, l’inquinamento è peggiorato in quasi tutti i fiumi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina e prevede peggiorerà ulteriormente nei prossimi vent’anni, principalmente a causa dei deflussi agricoli di fertilizzanti e altri prodotti chimici.
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Si può già palare, dunque di crisi idrica mondiale, ma è anche possibile mettere subito in pratica nuove soluzioni, basate sulla natura, le cosiddette infrastrutture verdi, per arginare il problema. Su questi strumenti sta lavorando dal 2016 un panel di esperti – autori del report ONU – che si batte per politiche basate sulle evidenze e approcci innovativi che rendano la gestione delle risorse idriche e dei servizi connessi attraenti per gli investitori mondiali. “Per troppo tempo, il mondo si è dedicato prima alle infrastrutture “umane” o “grigie” per migliorare la gestione dell’acqua. In tal modo, ha spesso spazzato via la conoscenza tradizionale e indigena che abbraccia approcci più verdi”, spiega dalla prefazione Gilbert Houngbo, presidente di UN Water. “Di fronte a un consumo accelerato, al crescente degrado ambientale e agli impatti multiformi dei cambiamenti climatici, abbiamo chiaramente bisogno di nuovi modi per gestire le richieste di acqua dolce”.