Uno studio del Cnr-Ifc di Pisa ha registrato l'aumento dei tassi di mortalità (in alcuni casi anche del 90%) per la popolazione stanziata nei dintorni della centrale energetica a carbone di Vado Ligure, chiusa nel 2014 per disastro ambientale doloso.
Otto le centrali a carbone ancora attive in Italia che dovranno essere riconvertite ad alimentazioni meno impattanti entro il 2025
(Rinnovabili.it) – Tassi di mortalità anche del 90% superiori alle medie per quanto riguarda le patologie respiratorie: questo uno degli effetti dell’esposizione prolungata alle esalazioni provenienti dalle centrali a carbone in Italia.
A studiare gli effetti sulla salute delle emissioni di grandi quantità di biossido di zolfo e ossidi d’azoto, sottoprodotti della combustione dell’oro nero, è stato l’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifc) di Pisa che ha recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Science of the Total Environment una ricerca focalizzata sull’impatto della centrale Tirreno Power, attiva tra il 1970 e il 2014 a Vado Ligure, in provincia di Savona, fino a quando la Procura della Repubblica di Savona non ne cedretò la chiusura per disastro ambientale doloso.
La ricerca ha valutato la relazione tra l’esposizione a inquinanti atmosferici emessi dalla centrale e il rischio di mortalità e ricovero in ospedale per cause tumorali e non tumorali, studiando tutta la popolazione residente dal 2001 al 2013 in 12 comuni intorno a Vado Ligure.
“L’esposizione a biossido di zolfo (SO2) e ossidi di azoto (NOx) è stata stimata dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure (Arpal) mediante un modello di dispersione, che ha considerato le emissioni da fonti industriali, portuali e stradali– spiega Fabrizio Bianchi del Cnr-Ifc, coordinatore del gruppo – L’area è stata suddivisa in 4 classi di esposizione a inquinanti (diversi livelli con inquinamento di crescente intensità). La relazione tra effetti sulla salute ed esposizione a inquinamento atmosferico è stata studiata per uomini e donne, confrontando ciascuna delle tre categorie con maggiore concentrazione di inquinanti con quella a minore concentrazione, tenendo conto dell’età e della condizione socio-economica della popolazione (indice di deprivazione)”.
Per il periodo 2001-2013 sono state seguite 144.019 persone, identificate con l’indirizzo di residenza. “Nei 12 comuni considerati, nelle aree a maggiore esposizione a inquinanti sono stati riscontrati eccessi di mortalità per tutte le cause (sia uomini che donne +49%) per malattie del sistema circolatorio (uomini +41%, donne +59%), dell’apparato respiratorio (uomini +90%, donne +62%), del sistema nervoso e degli organi di senso (uomini +34%, donne +38%) e per tumori del polmone tra gli uomini (+59%)”, spiega il professor Bianchi.
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Proprio la vicinanza alla centrale energetica alimentata a carbone sarebbe uno dei fattori determinanti per un anomalo tasso di mortalità e di ricoveri in ospedale per i residenti della zona, secondo i ricercatori del Cnr: “L’esposizione alle emissioni è risultata associata a numerosi eccessi di mortalità e di ricovero in ospedale, in particolare per le malattie dei sistemi cardiovascolare e respiratorio, per i quali d’altra parte la dimostrazione scientifica di un legame con l’inquinamento atmosferico è più convincente – prosegue Fabrizio Bianchi – I risultati conseguiti confermano peraltro le conoscenze pregresse, ma è la prima volta che viene effettuata una quantificazione del rischio, purtroppo molto alto. Le centrali per la produzione di energia alimentate a carbone rappresentano una fonte significativa di inquinanti atmosferici che impattano a livello locale e globale. Oltre alle note emissioni di biossido di carbonio (CO2), che contribuiscono al riscaldamento globale, ci sono quelle di biossido di zolfo (SO2), che sono associate a effetti dannosi per la salute”.
Una serie di effetti noti sia all’opinione pubblica che alla ricerca scientifica, ma che spesso non rientrano nelle valutazioni progettuali di costruzione di nuovi impianti energetici. Di qui l’auspicio dei ricercatori autori dello studio di un cambio di prospettiva in materia: “Si sposti con urgenza l’attenzione sulle valutazioni preventive degli impatti sulla salute, e quindi sulle fonti che si conoscono come maggiormente inquinanti, anziché valutare i danni alla salute già verificatisi a causa delle esposizioni – conclude Bianchi – Speriamo che i risultati presentati possano stimolare decisioni a favore della riduzione dei livelli di esposizione riconosciuti dannosi per l’ambiente e la salute e della realizzazione di studi analitici e di programmi di sorveglianza adeguati. Più in generale, lo studio condotto a Vado Ligure può contribuire a fornire ulteriore alimento all’ampio dibattito in corso sulle opzioni di decarbonizzazione e di contrasto ai cambiamenti climatici”.
Al momento, in Italia sono attive 8 centrali a carbone (di cui 6 di proprietà di Enel): secondo Piano nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030 (PNIEC) presentato lo scorso maggio dall’ex Ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, gl’impianti dovrebbero essere convertiti ad alimentazioni meno dannose per l’ambiente e la salute degli esseri umani entro il 2025.
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