Altri otto anni di validità, a partire dal 2013, per il Protocollo di Kyoto, ma a impegnarsi sono solo Unione Europea, Australia, Svizzera e Norvegia. Clini: "la comunità internazionale ha fatto un passo indietro"
Doha come Durban, come Cancun, Copenaghen e Bali. Il vertice Onu sui cambiamenti climatici lascia ancora una volta l’amaro in bocca. Le due settimane di negoziati internazionali si sono chiusi ieri sera in un clima vivo di polemiche e in un Qatar, il Paese ospite, aspramente criticato per la debole leadership e per aver lasciato che le trattative andassero alla deriva.
Nelle intenzioni, questa 18sima Conferenza delle Parti dell’Unfccc doveva costituire la cerniera virtuale tra il protocollo di Kyoto in scadenza a fine anno e il nuovo trattato mondiale vincolante del 2015. A conti fatti si tratta ancora di interpretare i risultati e decidere se il bicchiere che si sta guardando è mezzo pieno o mezzo vuoto.
RISULTATI SENZA ENTUSIASMI Dopo due settimane di lavori, il Doha climate gateway, il documento finale appare decisamente debole. L’accordo è arrivato con un giorno di ritardo fiaccato dalla strenua difesa di posizioni inconciliabili. Un esempio su tutti, l’insistenza di Russia, Ucraina e Bielorussia per ottenere credi di carbonio extra all’interno del mercato delle emissioni, pena – e così è stato per Mosca – la mancata ratifica del Kyoto bis. Al vertice di Doha va però il merito d’aver stabilito, per la prima volta, che le nazioni ricche debbano assumersi l’onere economico dei danni climatici subiti dalle nazioni povere, ma solo dopo aver avuto la “prudenza” di rinviare la decisione sul pacchetto di aiuti ai Paesi in via di sviluppo.
“Il bicchiere di Doha è per tre quarti vuoto e per un quarto pieno”, ha commentato il ministro dell’Ambiente Corrado Clini. “Invece di fare un passo avanti, la comunità internazionale ha fatto un passo indietro perché non si è riusciti a trovare un accordo in grado di dare concretezza e continuità di impegni presi con il Protocollo di Kyoto”.
MODIFICA AL PROTOCOLLO DI KYOTO I 200 paesi partecipanti hanno lanciato a partire dal 1° gennaio 2013 un nuovo periodo di impegno ai sensi del protocollo di Kyoto che, a conti fatti, sarà l’unico impegno climatico attivo in attesa che nel 2020 entri in vigore il nuovo accordo vincolante sulle emissioni. Peccato che a prendersi l’impegno con un Kyoto-bis saranno unicamente Unione Europea, Australia, Svizzera e Norvegia, responsabili insieme solo del 15-20 per cento delle emissioni di gas serra. Alla defezione di USA (assente anche da Kyoto 1), Nuova Zelanda, Giappone e Canada si è aggiunta anche quella della Russia sfilatasi dall’accordo all’ultimo minuto per paura danneggiare il proprio mercato energetico. I governi hanno deciso, inoltre, che la durata del secondo periodo sarà di 8 anni, accettando di rivedere i propri impegni di riduzione delle emissioni entro il 2014 e mantenendo tutti gli strumenti di mercato chiave del trattato come il meccanismo di sviluppo pulito (CDM) o il Joint Implementation (JI).
NUOVE INFRASTRUTTURE Il testo licenziato da Doha ufficializza due nuove infrastrutture necessarie ad incanalare tecnologie e finanziamenti ai paesi in via di sviluppo: il Fondo verde per il clima lanciato dalla Corea del Sud e Climate Technology Center guidato da consorzio sotto l’egida dell’Unep.
FINANZIAMENTI Nell’undicesimo giorno dei lavori della COP 18, Xie Zhenhua, capo della delegazione cinese e vice-direttore della Commissione statale cinese per lo sviluppo e la riforma, aveva rivelato che attraverso consultazioni e negoziati, già 6 Nazioni avevano promesso di offrire fondi ai paesi in via di sviluppo per affrontare i cambiamenti climatici. Un’anticipazione rispettata dal momento che Germania, Regno Unito, Francia, Danimarca, Svezia e la Commissione europea hanno annunciato un impegno finanziario concreto da oggi fino al 2015, per un totale di circa 6 miliardi di dollari. Nel Doha Climate Gateway i paesi sviluppati hanno ribadito il loro impegno a mantenere le promesse fatte continuando a sostenere i finanziamenti climatici a lungo termine al fine di mobilitare 100 miliardi di dollari sia per l’adattamento e la mitigazione entro il 2020. Per ora però sono solo parole su carta, con la promessa di definire tutte i tecnicismi del caso a partire dal 2013.
“Non è stato un percorso facile – ha commentato il commissario Ue all’Ambiente Connie Hedegaard – ma abbiamo lanciato un ponte e speriamo ora di andare più spediti”.