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Clima: crescono i finanziamenti per i Paesi poveri

Entro il 2020 va raggiunto il tetto dei 100 miliardi di $. Siamo a 62, ma il rischio è che nei finanziamenti per il clima si nasconda un nuovo colonialismo

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(Rinnovabili.it) – I Paesi ricchi sono oltre la metà del guado per raggiungere i 100 miliardi di dollari che dal 2020 dovranno sborsare, ogni anno, per aiutare i Paesi poveri ad assorbire al meglio gli impatti dei cambiamenti del clima. Secondo un rapporto OCSE uscito ieri, i finanziamenti per il clima avrebbero raggiunto nel 2014 i 62 miliardi. Un progresso lento ma per il momento abbastanza continuo. Tutto è iniziato nel 2010, quando i Paesi sviluppati si sono impegnati a mobilitare congiuntamente questa cifra annuale, depositandola nel Green Climate Fund, istituzione delle Nazioni Unite con sede in Sud Corea. Le economie più deboli dovrebbero poter attingere da quel serbatoio per effettuare interventi di adattamento ad eventi meteorologici estremi e all’innalzamento previsto del livello dei mari, potendo in più investire in tecnologie a basse emissioni per ridurre le emissioni di carbonio.

 

Gran parte dei fondi censiti dal rapporto, che analizza il periodo 2013-2014, vengono da organi multilaterali di sviluppo come la Banca Mondiale. Lo studio OCSE è stato commissionato dal Perù e dalla Francia, presidenti delle conferenze sul clima nel 2014 e 2015, per fare chiarezza su una componente chiave dei negoziati, che a pochi mesi dalla COP 21 è uno degli elefanti nella stanza. Se ne parla poco e ogni tentativo di accelerazione incontra forti resistenze.

 

Clima crescono i finanziamenti per i Paesi poveri 3Il rapporto esclude tutti i finanziamenti relativi a progetti di centrali a carbone, anche se il Giappone e l’Australia hanno giocato sporco, etichettando i loro finanziamenti per impianti a carbone ad alta efficienza come forma di finanziamento climatico.

Jonathan Taylor, vice presidente della Banca europea per gli investimenti, ha detto che i risultati dell’OCSE sono cruciali nella corsa verso la conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, definendo il rapporto «un valido contributo per comprendere meglio i flussi relativi ai finanziamenti per il clima».

Il punto interrogativo grava ancora sul “come” questi finanziamenti verranno utilizzati: la volontà di diversi Paesi ricchi non è quella di metterli a disposizione a fondo perduto, ma di guadagnarci – o di far guadagnare le proprie imprese – attraverso grandi progetti nei territori più poveri e ad alto rischio climatico.