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Il Cile in piazza contro la privatizzazione dell’acqua

Il parlamento sta discutendo una riforma che potrebbe mettere la parola fine a decenni di gestione privata dell'acqua e renderla di nuovo bene comune. Sono a favore 3 cileni su 4

Il Cile in piazza contro la privatizzazione dell'acqua

 

(Rinnovabili.it) – In piazza a Santiago del Cile sono scese soltanto poche migliaia di persone, unite per chiedere uno stop alla privatizzazione dell’acqua. Ma potrebbero essere molte di più: un sondaggio recente mostra che il 74% dei cileni pensa che l’acqua debba tornare ad essere un bene comune. Molti più di quel 56% che nel plebiscito del 1988 scrisse la parola fine alla dittatura militare di Pinochet, per fare un paragone. E proprio nell’èra Pinochet affonda le sue radici l’odierno sistema di gestione privata delle risorse idriche del Paese andino, che in questi giorni viene rimesso in discussione da un pacchetto di riforme appena approdato in Parlamento.

Al centro delle proteste di piazza ci sono anni di difficoltà e frustrazioni per una popolazione sempre più alle prese con la cronica e drammatica scarsità d’acqua, i prezzi alle stelle e l’inazione della politica. Quattro anni fa fu fondato il Movimiento por la Recuperaciòn del Agua y la Vida, ancora oggi spina dorsale delle manifestazioni. Era un periodo in cui lo stress climatico si faceva sentire forte in tutto il Cile.

 

Il Cile in piazza contro la privatizzazione dell’acquaLa situazione nel frattempo non è migliorata, anzi. La disponibilità d’acqua stimata per la capitale Santiago crollerà del 40% entro il 2070. Ma già oggi milioni di abitanti sono lasciati a secco per giorni interi mentre l’acquedotto funziona a singhiozzo. I dati climatici non promettono nulla di buono: le temperature sono in costante ascesa e i ghiacciai nazionali si ritirano veloci.

Aguas Andinas, una sussidiaria della compagnia Agbar and Suez, ha il monopolio dell’acqua a Santiago: il risultato è che vende a 6 milioni di cittadini (sui 7,2 totali) al prezzo più alto di tutta l’America Latina. È il lasciato del processo di privatizzazione dell’acqua iniziato nel 1981 con Pinochet, che seguì un modello di riforme promosse da Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale.

Le riforme in discussione oggi in Parlamento vanno in direzione opposta, dando priorità al consumo umano rispetto al suo uso commerciale in quanto merce. Ovviamente le aziende interessate sono in trincea e gridano alla minaccia di “esproprio”. Ma la transizione – se ci sarà – sarà comunque graduale: il primo passo sarebbe restituire all’organismo statale di gestione dell’acqua un ruolo attivo, mentre adesso è di fatto un semplice passacarte senza alcun peso decisionale reale.