All’1.23 del 26 aprile 1986 l’imperizia degli operatori della centrale V.I. Lenin, vicino a Chernobyl, innescò il peggior disastro nucleare della storia
(Rinnovabili.it) – Doveva essere un test di sicurezza, si è trasformato nel peggior disastro nucleare nella storia dell’umanità. Tutto accadde in pochi minuti, precisamente all’1.23 del mattino di un 26 aprile come gli altri, trent’anni fa. Il personale della centrale V.I. Lenin, situata in Ucraina settentrionale, a 3 km dalla città di Pryp’jat’ e 18 km da quella di Chernobyl, era impegnato in una verifica già compiuta altre volte.
Violando diverse norme di sicurezza, i tecnici aumentarono la potenza troppo rapidamente, innalzando la temperatura del nocciolo del reattore n. 4. L’acqua di refrigerazione si scisse in idrogeno e ossigeno, esplosero le tubazioni del sistema di raffreddamento. Ma la deflagrazione più devastante avvenne per effetto del contatto tra l’idrogeno e la graffite incandescente con l’aria. Il botto fece saltare il coperchio del reattore, pesante circa 1.000 tonnellate, provocando un incendio.
La nube radioattiva fuoriuscita dal reattore provocò la contaminazione di vaste aree nei dintorni della centrale e l’evacuazione (avvenuta con colpevole ritardo solo 36 ore dopo) di 336 mila persone. Trentuno lavoratori dell’impianto e vigili del fuoco sono morti nel periodo immediatamente successivo all’incidente a causa delle radiazioni. Ma l’inquinamento si estese in tutte le direzioni, giungendo a lambire anche l’Italia, l’Europa occidentale e la costa est del Nord America.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, a causa dell’inquinamento radioattivo sono morte 65 persone, mentre 4 mila individui che all’epoca avevano tra 0 e 18 anni svilupparono tumori alla tiroide. Ma la stima è considerata altamente conservativa da Greenpeace, secondo cui, circa 115 mila decessi sono collegati alla catastrofe di Chernobyl. Più contenuta la valutazione dei Verdi europei, che comunque calcolano il 30-60 mila le morti accertate. L’Organizzazione mondiale della sanità ha stabilito legami tra la radioattività e 9 mila decessi. La conta delle vittime non è mai stata portata a termine: il direttore di Greenpeace Italia, Giuseppe Onufrio, denuncia «un follow up sanitario interrotto nel 2005 per mancanza di fondi».
Il trentesimo anniversario dell’apocalisse atomica cade mentre sono in corso le ultime operazioni che porteranno alla realizzazione di un sarcofago gigantesco in acciaio, costato 1,5 miliardi di euro, che dovrebbe racchiudere il sito del reattore e prevenire ulteriori fuoriuscite per un centinaio di anni. Il progetto è stato finanziato con le donazioni di oltre 40 governi.
Anche dopo la posa della nuova struttura, la “zona rossa” – 2.600 chilometri quadrati di foreste e paludi al confine tra Ucraina e Bielorussia – rimarrà inabitabile e chiusa ai visitatori non autorizzati. Nelle zone contaminate, comunque, ad oggi abitano ancora 5 milioni di persone. La natura, intanto, è tornata ad impadronirsi dei luoghi martoriati dalla sciagurata mano dell’uomo: lupi, linci, aquile e cavalli selvaggi sono tra gli animali che hanno ripreso a vivere in quelle terre semideserte.