Nonostante le proteste di piazza a Roma, il Senato ha dato il primo via libera al ddl di ratifica del CETA, l'accordo UE-Canada gemello del TTIP
(Rinnovabili.it) – Ieri la Commissione Affari Esteri del Senato ha dato un primo via libera al ddl di ratifica del CETA, il controverso accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada approvato a febbraio dal Parlamento Europeo. Con 15 voti a favore e 6 contrari il testo passa ora alla plenaria, dove il voto deve ancora essere calendarizzato.
Hanno votato a favore Bruno Astorre (Pd), Stefania Giannini (Pd), Francesco Russo (Pd), Stefano Lepri (Pd), Giuseppina Maturani (Pd), Claudio Micheloni (Pd), Gian Carlo Sangalli (Pd), Magda Angela Zanoni (Pd), Lucio Malan (FI), Renato Schifani (FI), Pierferdinando Casini (NCD), Francesco Colucci (NCD), Luigi Compagna (FL), Francesco Palermo (Aut), Mario Monti (Misto). Assente il senatore di Articolo Uno, Paolo Corsini, in missione ma non sostituito dal gruppo parlamentare.
Un’ampia maggioranza, dunque, nonostante le numerose criticità evidenziate da sindacati, organizzazioni produttive, ambientaliste e della società civile, riunite in piazza a Roma per chiedere di riaprire le audizioni e interrompere il processo di ratifica.
In particolare, le preoccupazioni riguardano il capitolo sullo sviluppo sostenibile, privo di meccanismi vincolanti per le aziende che violino normative ambientali o i diritti del lavoro. Sul fronte ambiente-energia le cose non vanno meglio, dal momento che il Canada è descritto come un partner affidabile nella lotta al cambiamento climatico, ma stanti le politiche attuali mancherà sia il proprio impegno di riduzione delle emissioni per il 2020 che l’obiettivo al 2030. Il paese della foglia d’acero elargisce 3,3 miliardi di dollari l’anno in sussidi pubblici ai combustibili fossili, tra cui l’inquinante petrolio da sabbie bituminose. Il presidente Justin Trudeau ha supportato inoltre la costruzione dell’oleodotto Keystone XL, un progetto da 8 miliardi di dollari per portare quel petrolio negli Stati Uniti.
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Si profilano poi un potenziale rischio per il principio di precauzione e la sicurezza alimentare: il CETA non vincola il commercio di sostanze chimiche e pesticidi a questo approccio, ma piuttosto rinvia decisioni chiave a comitati tecnici difficilmente accessibili, il cui mandato non è tanto tutelare la salute pubblica, quanto piuttosto fluidificare gli scambi tra i due lati dell’Atlantico.