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Cambiamento climatico: aperture sul fronte “loss and damage”

Gli Stati Uniti si sono mostrati più collaborativi nella ricerca di un sistema condiviso per risarcire e aiutare i Paesi poveri vittima del cambiamento climatico

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(Rinnovabili.it) – Chi paga i danni del cambiamento climatico? È la domanda che si pongono da tempo i delegati dei 196 Paesi UNFCCC nell’ambito dei negoziati sul clima. Se i Paesi in via di sviluppo si vedono scaricare addosso più alluvioni, inondazioni e siccità è perché le grandi potenze hanno dato una decisa spinta al riscaldamento globale. Dunque, sostengono, toccherebbe a loro incaricarsi di pagare i danni. Ma naturalmente Stati Uniti, Unione europea e altre economie affermate fanno resistenza, rendendo quella del “loss and damage” una questione chiave per la riuscita dei negoziati.

Tuttavia, sembra che durante questa settimana di colloqui preparatori alla COP 21 di Parigi si sia aperto uno spiraglio. Gli Stati Uniti, infatti, per una volta non hanno chiuso la porta alla richiesta di stabilire meccanismi di risarcimento per gli effetti degli eventi estremi collegati alle emissioni su vasta scala.

 

«Un passo avanti», secondo alcuni delegati, che sottolineano la vena collaborativa degli americani. A Bonn, dove si stanno svolgendo i negoziati da lunedì, i Paesi più poveri e vulnerabili hanno proposto che al centro dell’accordo da sottoscrivere alla COP 21 ci sia un meccanismo di loss and damage. Fanno leva su un report della Banca Mondiale che misura la crescita delle perdite economiche legate ai cambiamenti climatici. Dagli anni ’80 ad oggi, questa cifra sarebbe salita da 50 miliardi di dollari annui a quasi 200.

 

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Le misure per l’adattamento non sono sufficienti: è necessario istituire un meccanismo consolidato di risarcimento e presa in carico per chi subisce gli effetti della industrializzazione selvaggia in Occidente (e non solo, ormai). L’apertura americana è un passo avanti, ma da qui ad arrivare ad una proposta condivisa e vincolante c’è un oceano. I Paesi più in difficoltà vogliono vedere risultati concreti, e chiedono la costituzione di una struttura di coordinamento degli spostamenti, che si occupi di aiutare chi perde la casa a seguito dei disastri naturali. I profughi climatici, secondo il Consiglio norvegese per i rifugiati, nel 2014 sono stati 20 milioni. Un esodo mondiale che impone una risposta meno disonorevole della solita alzata di spalle.