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Iota si indebolisce ma la stagione degli uragani segna un bruttissimo record

Solo da ottobre 2020 a oggi si sono scatenati sull'Atlantico ben quattro cicloni di categorie 3-4: Delta, Epsilon, Eta e Iota - tutti nomi presi dall'alfabeto greco perché l'elenco regolare è ormai stato esaurito.

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Image by David Mark from Pixabay

Il numero di uragani e tempeste tropicali del 2020 tocca quota 30

(Rinnovabili.it) – Iota, la tempesta tropicale che si è abbattuta sull’America centrale, sta perdendo forza. Ma l’impatto si è tutt’altro che attenuato. E mentre i Paesi coinvolti continuano a contare vittime e danni, in un bilancio che non sembra voler arrestarsi, c’è chi cerca di fare i conti con un clima sempre più violento. “Stiamo finendo i superlativi per questa stagione degli uragani sull’Atlantico. È record in ogni senso della parola”, spiega Clare Nullis, portavoce dell’Organizzazione meteorologica mondiale. “Con Iota, siamo attualmente alla 30esima tempesta tropicale. Il susseguirsi di eventi catastrofici così ravvicinati, non può che preoccupare. 

Iota ha colpito in Nicaragua il 17 novembre come una potente tempesta di categoria 4 nella scala Saffir Simpson e venti a 250 km/h. Si tratta dell’uragano atlantico più forte dell’anno e, sfortunatamente ha colpito esattamente la stessa area su cui si era abbattuto l’urgano Eta meno di due settimane fa. Come spiegato da Jens Laerke, portavoce dell’Ufficio ONU per il coordinamento degli affari umanitari (UNOCHA), gli operatori umanitari in America centrale stanno ancora cercando di capire l’entità dei danni provocati da Eta, mentre affrontano questo secondo impatto catastrofico. 

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E se si risale fino ad ottobre 2020, nell’elenco atlantico compaiono in maniera ravvicinata anche Delta ed Epsilon, che hanno colpito Messico, Usa e Bermuda. Tutti nomi appartenenti all’alfabeto greco, perché quelli tradizionali in lista, come Arthur o Hanna, si sono esauriti esauriti alla fine di agosto.

Ma questa è, soprattutto, la prima volta nella storia in cui l’Atlantico ha avuto due grandi formazioni temporalesche di categoria 4 a novembre, un periodo dell’anno in cui la stagione dei cicloni è normalmente agli sgoccioli. Il portavoce del Programma alimentare mondiale Tomson Phiri ha dichiarato che le agenzie umanitarie avevano fatto il possibile per prepararsi, ma la stagione si è rivelata anche peggiore del previsto, iniziando prima e protraendosi più a lungo.  “Le continue inondazioni in paesi come Guatemala, Honduras e Nicaragua influenzeranno il raccolto in arrivo”, afferma Phiri. “E questo metterà a dura prova gli agricoltori prolungando l’emergenza anche a metà del 2021”.

L’UNOCHA non ha potuto che sottolineare le conseguenze potenzialmente catastrofiche di una serie di uragani così in rapida successione. A preoccupare non è certo solo l’Atlantico. Nell’Oceano Pacifico settentrionale occidentale e nel Mar Cinese Meridionale si sono verificate 22 grandi tempeste, inclusi 10 tifoni. Nel giro di sole tre settimane sulle Filippine si sono abbattute ben cinque grandi eventi temporaleschi in progressione.

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Questa escalation di intensità e frequenza nei sistemi tempestosi tropicali si è acuita a livello mondiale negli ultimi quattro decenni. Secondo una recente analisi, il primo responsabile è il cambiamento climatico. In una ricerca pubblicata il 10 aprile 2020 su Proceedings of the National Academy of Sciences, è stato indagato il ruolo del riscaldamento globale in questi fenomeni. Lo studio, condotto dalla National Oceanic and Atmospheric Administration e dall’University of Wisconsin-Madison, mostra come la crescita delle temperature abbia aumentato la probabilità che le tempeste si trasformino in urgani di categoria 3 o superiore  di circa l’8% in solo un decennio. “La tendenza c’è ed è reale”, ha detto James P. Kossin, autore principale dello studio. “Esiste un un notevole corpo di prove che stiamo rendendo queste tempeste più deleterie”.