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Un terzo della popolazione mondiale esprime scetticismo climatico

L’esperimento dell’Università di Ginevra pubblicato su Nature mostra che lo scetticismo sul cambiamento climatico è molto più diffuso

scetticismo climatico
Foto di Mika Baumeister su Unsplash

Il lavoro di aziende e lobby per alimentare scetticismo climatico sta funzionando

(Rinnovabili.it) – Lo scetticismo sul cambiamento climatico è molto più radicato nelle nostre società di quanto pensiamo. Difficilmente rispondereste ad un quiz scegliendo come quota di potenziali negazionisti la risposta che dice “un terzo della popolazione mondiale”. E invece è proprio questo il risultato di una ricerca svolta dall’Università di Ginevra. Un team della facoltà di psicologia ha ottenuto i dati con una rilevazione svolta su quasi 7 mila persone in 12 paesi, sia del Nord che del Sud globale. 

Il loro lavoro è uscito su Nature e la conclusione è che occorre fare di più per contrastare la disinformazione sul cambiamento climatico. Sebbene il consenso scientifico sulla responsabilità umana – riaffermato dal sesto rapporto del panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) – esista da decenni, una porzione significativa della popolazione ne dubita o lo contesta. La disinformazione diffusa, che incendia un dibattito che sarebbe già finito da decenni, è figlia del lavoro sotterraneo di alcune aziende e lobby.

Questi gruppi di interesse giocano sul fatto che i messaggi del dibattito pubblico raggiungono l’opinione pubblica, ma non vengono assorbiti in modo neutrale. Devono fare i conti con aspetti culturali e visioni del mondo radicate nelle nostre società. Toccare alcuni tasti piuttosto che altri, cercando di confermare pregiudizi esistenti piuttosto che proporre un pensiero più complesso e “faticoso”, riscuote maggior successo. 

L’impatto della disinformazione climatica

Il test per verificare questa tendenza e il suo impatto è stato svolto suddividendo i 6.816 partecipanti in otto gruppi. Due sono stati impiegati come “controlli”, mentre sei sono stati sottoposti a strategie psicologiche di vario tipo: in alcuni casi sono stati inclusi in programmi di piantumazione di alberi, in altri gli è stato chiesto di valutare dichiarazioni scientifiche sul cambiamento climatico, o ancora di discutere approfonditamente sulle cause e le azioni di mitigazione possibili. 

Dopo questa esposizione a messaggi o comportamenti coerenti con il consenso scientifico sul climate change, si è passati alla seconda fase. Ciascun gruppo è stato esposto a 20 informazioni false o distorte, dieci sulla scienza del clima e dieci sulla politica climatica. È bastato questo a far crollare la fiducia acquisita con lo sforzo precedente. La disinformazione è quindi estremamente persuasiva, apparentemente più dell’informazione scientifica. Il che fa gioco a chi la promuove, molto meno alle sorti dell’umanità sul pianeta.