Rinnovabili • Tipping point dell’Amazzonia: il problema sono gli incendi

Gli incendi ricorrenti innescheranno il tipping point dell’Amazzonia, non la deforestazione

Un nuovo studio punta l’attenzione sul ruolo degli incendi che si verificano più volte nelle medesime aree, una condizione molto frequente nel cosiddetto “arco della deforestazione”, cioè l’area dove si concentrano le attività umane a ridosso della foresta. I roghi possono cancellare la resilienza del bioma e condannarlo a diventare prateria

Tipping point dell’Amazzonia: il problema sono gli incendi
Foto di PublicDomainImages da Pixabay

Per l’IPCC è poco probabile che si superi il punto di non ritorno dell’Amazzonia entro questo secolo

(Rinnovabili.it) – Gli incendi ricorrenti, soprattutto lungo quello che prende il nome di “arco della deforestazione”, possono condannare l’Amazzonia a trasformarsi rapidamente da foresta tropicale a prateria. Lo afferma uno studio pubblicato di recente su Communications Earth & Environment che indaga il rapporto tra clima, cambiamento d’uso del suolo e incendi, e come le connessioni tra questi fattori possano innescare il tipping point dell’Amazzonia.  

Cosa sappiamo del tipping point dell’Amazzonia

Quello del punto di non ritorno della principale foresta pluviale tropicale del mondo è un tema ancora molto dibattuto. Gli scienziati che se ne occupano hanno pareri discordanti sul peso specifico dei fattori che influenzano l’equilibrio dell’ecosistema amazzonico e di conseguenza sulla data entro la quale, ai ritmi di deforestazione attuali, ci possiamo aspettare che il tipping point dell’Amazzonia venga superato.

Stando all’ultimo rapporto dell’IPCC, uscito ad agosto 2021 (AR6 WG1), “la continua la deforestazione dell’Amazzonia, combinata con un clima più caldo, aumenta la probabilità che questo ecosistema supererà il tipping point verso uno stato secco durante il 21° secolo”, benché questa conclusione sia catalogata come “low confidence”, cioè senza un consenso scientifico corposo o prove molto solide a sostenerla.

Più di recente, altri studi – non presi in considerazione dall’IPCC perché posteriori al 2020 – si sono concentrati sulla quantificazione della parte di Amazzonia che si trova in uno stato degradato (il 38%) ed è quindi meno resiliente o sulla capacità della foresta di reagire a ondate di calore e altri eventi estremi (il 72% dell’Amazzonia è in difficoltà). Ci sono poi dei lavori che hanno tentato di ridefinire il concetto di collasso dell’ecosistema amazzonico, prevedendo un degrado “a macchia di leopardo” (ma con conseguenze decisive, anche a livello globale) invece di un unico evento di degrado complessivo.

Incendi sottovalutati

Il nuovo studio aggiunge un tassello di conoscenza. Le valutazioni condotte finora sul tipping point dell’Amazzonia, sostengono gli autori, sopravvalutano la capacità della foresta di reagire agli stimoli antropici e climatici. Il fattore che non viene considerato è l’impatto degli incendi ricorrenti che insistono sulle medesime aree.

Con l’ausilio di modelli climatici, i ricercatori hanno simulato la capacità dell’Amazzonia di ricrescere in 4 diversi scenari di concentrazione di CO2 (per tener conto adeguatamente dell’effetto positivo dell’anidride carbonica sullo sviluppo di biomassa) sia con sia senza la presenza di incendi ricorrenti. Il risultato è che a qualsiasi livello di CO2, l’intera Amazzonia è in grado di riprendersi ma a patto che non vi siano incendi che insistono spesso nelle medesime zone. In questo caso, al contrario, la maggior parte della porzione brasiliana della foresta non sarebbe in grado di ricrescere.

L’oltrepassamento del punto di non ritorno avverrebbe quindi a causa di un effetto di lock-in generato proprio dai roghi: più l’Amazzonia si converte in prateria, più il resto della foresta perde resilienza ed è esposta a incendi più frequenti. In questo scenario, il danno causato all’Amazzonia potrebbe essere “irreversibile” nel 56-82% dei casi.