I ricercatori dell'Istituto tedesco RWTH hanno studiato ciclo di vita di due impianti DAC commerciali per valutarne i reali benefici climatici
Le emissioni negative non possono fare a meno delle rinnovabili
(Rinnovabili.it) – Non tutti lo sanno ma, nella lotta ai cambiamenti climatici, il Pianeta ha già attivato il piano B. Le soluzione di cattura delle emissioni di gas serra hanno raggiunto negli ultimi anni lo stadio commerciale, ricevendo persino la benedizione delle Nazioni Unite. Il settore è ancora giovane e immaturo, ma continua a catalizzare fondi e investimenti, promettendo di essere uno strumento indispensabile alla decarbonizzazione. È davvero così? L’Istituto di termodinamica tecnica dell’Università di Aquisgrana ha voluto offrire una prima risposta a cominciare dalla cosiddetta “Direct Air Capture” o DAC.
Come lo stesso nome fa intuire, questa tecnologia consente le rimozione della CO2 atmosferica in maniera diretta. Senza la necessità, dunque, di realizzare impianti legati a fonti di carbonio puntiformi. Tale soluzione è ancora in fase di sviluppo, sebbene esitano alcuni impianti commerciali già in funzione o in fase di pianificazione in Europa e negli Stati Uniti. Il funzionamento può essere riassunto in poche parole. Gli impianti DAC lavorando come una sorta di grandi aspiratori: catturano l’aria, assorbono selettivamente la CO2 e rilasciano il resto. L’anidride carbonica è quindi immagazzinata o impiegata per la sintesi di metano o altri prodotti chimici.
La quantità di biossido di carbonio rimosso dipende per lo più dalla taglia dell’impianto. Per quello di ORCA, in fase di realizzazione in Islanda, si stima una rimozione della CO2 atmosferica pari a 4.000 tonnellate l’anno. In tutti i casi si tratta di grandi strutture che, per lavorare e ottenere i propri componenti chiave, hanno bisogno di molta energia. Ecco perché un gruppo di ricercatori dell’ente tedesco ha voluto valutarne l’intero ciclo di vita.
Benefici e difetti della rimozione della CO2 atmosferica tramite DAC
Il team si è concentrato su due impianti DAC commerciali della Climeworks. “Alla conferenza di Gordon sul Carbon Capture, Utilization and Storage (CCUS) nel 2017, abbiamo avviato una discussione con Climeworks e altre aziende che lavorano su DAC”, ha detto a TechXplore, André Bardow, uno degli autori. “Sebbene il DAC sia motivato dai benefici climatici, i compromessi con altre emissioni di CO2 e altri impatti ambientali lungo il ciclo di vita non erano noti. Il nostro studio ora mette nero su bianco questi compromessi”.
Secondo la ricerca tedesca, i sistemi di cattura diretta dall’aria a Hinwil (Svizzera) e Hellisheiði (Islanda) gestiti da Climeworks possono oggi già raggiungere emissioni negative, con efficienze dell’85,4% e del 93,1%. I benefici, tuttavia, dipendono fortemente dall’energia impiegata. Quando si utilizzano fonti a basso tenore di carbonio, come nel caso Hellisheiði (dove l’alimentazione è strettamente geotermica) la scelta dei materiali assorbenti e il modo in cui l’impianto è costruito diventano di vitale importanza per garantire compromessi minimi tra benefici e difetti. Ad esempio, a causa del modo in cui sono progettati e dei filtri utilizzati per la rimozione della CO2 atmosferica le due strutture DAC portano rispettivamente all’emissione di fino a 45g e 15 g di CO2 per ogni kg catturato.
Leggi anche Tecnologie CCUS, così Saipem trasforma la CO2 da problema a risorsa
Nel complesso, lo studio (testo in inglese) dimostra i possibili vantaggi dell’implementazione della tecnologia DAC su larga scala, evidenziando anche la dipendenza da fonti di energia più ecologiche. Tuttavia, i ricercatori sottolineano come la diffusione sul larga scale della DAC richieda un notevole aumento della produzione degli adsorbenti impiegati.