Il via libera è arrivato con il Decreto del MASE n. 434 del 21 dicembre 2023. Previste 274 azioni "soft" su un totale di 361 misure individuate dagli esperti
Via libera al Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici
(Rinnovabili.it) – L’Italia si trova un’area estremamente vulnerabile al climate change, inserita nella lista degli hotspot più importanti ed esposti a livelli mondiale. Eppure redigere un programma difensivo non è stato semplice. Dalla prima strategia italiana in materia all’adozione del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) sono passati oltre sette anni. Un lungo periodo di tempo durante il quale si è registrato un incremento di fenomeni quali alluvioni, ondate di calore, frane e siccità. Basti pensare che nel solo 2023, il moltiplicarsi di eventi estremi quali grandinate, trombe d’aria, bombe d’acqua e alte temperature, ha provocato nel Paese oltre 6 miliardi di euro di danni all’agricoltura italiana.
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Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, cosa è?
Il PNACC costituisce lo strumento di indirizzo nazionale per “l’implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo possibile i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, a migliorare la capacità di adattamento dei sistemi socioeconomici e naturali”.
Il via libera ufficiale è arrivato alla fine del 2023 con il Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica n. 434 del 21 dicembre 2023. A darne notizia è lo stesso Dicastero in una rapida nota stampa del 2 gennaio 2024, in cui è tuttavia allegato oltre allo stesso documento di Piano anche il database delle azioni di adattamento. Di cosa si tratta? Del catalogo degli interventi settoriali individuati dal gruppo multidisciplinare di esperti che ha collaborato alla elaborazione PNACC del 2018. Parliamo di 361 misure di carattere nazionale e/o regionale in grado di incidere su uno o più settori tra: acquacoltura; agricoltura; energia; turismo; foreste; dissesto idrogeologico; desertificazione; ecosistemi acquatici e terrestri; zone costiere; industrie; insediamenti urbani; patrimonio culturale; risorse idriche; pesca; salute; trasporti.
Per ognuna di queste 361 azioni esiste un’ulteriore classificazione in “soft”, “green” o “grey” nel caso in cui, rispettivamente: non richiedono interventi strutturali e materiali diretti, siano interventi materiali identificati come soluzioni basate sulla natura, siano azioni materiali su impianti, materiali e tecnologie, infrastrutture o reti.
PNACC: La mano troppo “leggera” del Governo
Scorrendo il database emerge che, sulla totalità di misure individuate dal Piano Adattamento ai Cambiamenti Climatici dell’Italia, la maggior parte (274) è classificata come soft. Ossia si tratta di azioni di informazione, sviluppo di processi organizzativi e partecipativi, e governance. Gli interventi strutturali sono dunque solo 87, di cui 46 quelle classificate come green. A titolo esemplificativo, in ambito di dissesto idrogeologico – fenomeno che oggi tiene sotto scacco oltre il 93% dei comuni del BelPaese – il PNACC riserva solo la “mano leggera”: 29 interventi tutti rientrati nella categoria soft.
Il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici diventa più proattivo (ma non troppo) sul fronte delle risorse idriche. L’Italia risulta classificata come nazione soggetta a stress idrico medio-alto (valutazione OCSE) e non è un mistero che la distribuzione della disponibilità e della domanda di acqua sia caratterizzata da una forte disomogeneità a livello subnazionale. In questo settore gli interventi strutturali individuati riguardano: l’incremento della connettività delle infrastrutture idriche; la manutenzione della rete idrica artificiale a funzione multipla (bonifica e irrigazione); l’incremento della capacità di accumulo nelle zone rurali e il risanamento del sistema fluviale ripristinando uno stato naturale.
Anche sul fronte agricoltura sono poche le misure materiali (5 su 28 totali). Si va dagli investimenti in strutture e impianti che facilitino l’adattamento ai cambiamenti climatici delle aziende agricole come ad esempio strutture per la protezione da gelo e grandine, a quelli nell’agricoltura di precisione e nell’efficientamento dell’uso delle risorse. Dagli investimenti per il miglioramento sostanziale delle reti irrigue alla promozione di operazioni in grado di incrementare significativamente il benessere degli animali. Passando per il mantenimento di pratiche tradizionali di gestione dei pascoli.
Costi e risorse
Il file in questione contiene anche una voce “costi”, ma ad eccezione di alcune caselle, la colonna appare vuota. D’altra parte in tema di finanziamento del PNACC il discorso si fa più cauto. Per gli autori del documento “emergono potenzialmente molte risorse per le misure suggerite” dal Piano, tra programmi europei, nazionali e regionali. “Bisogna tuttavia precisare – si legge nel testo – che solo una parte delle risorse cui si fa riferimento sono nelle dirette disponibilità del sistema Italia. Lo schema europeo di finanziamento citato prevede infatti una allocazione dei fondi su base competitiva e dunque l’attribuzione è incerta e sottoposta alla condizione di uno sforzo particolare per la presentazione di candidature qualitativamente eccellenti”.