Il ministro interviene alla Conferenza preparatoria della Strategia nazionale per lo Sviluppo sostenibile. “Tutti i problemi di sostenibilità sono interconnessi, non si può più separare l’epidemiologia da quello che mangiamo, dal modello di sviluppo economico". "La transizione per la prima volta ci mette di fronte a un approccio glocal in un'era di debito ambientale, oltre che economico”
di Tommaso Tetro
(Rinnovabili.it) – Arrivare ad avere un Paese sano e una giusta società. Questo in sostanza l’obiettivo che si pone la transizione ecologica targata Roberto Cingolani: “In questo momento difficilissimo, con la pandemia mondiale del Covid, è quanto più necessario conciliare istanze diverse. Siamo in un momento in cui la sofferenza sociale è elevatissima, e non solo l’economia sta pagando un pegno formidabile. Non possiamo né dobbiamo ignorare le difficoltà che si stanno vivendo”.
“Tutti i problemi di sostenibilità sono interconnessi – spiega Cingolani – non si può più separare l’epidemiologia da quello che mangiamo, dal modello di sviluppo economico”: le soluzioni si devono ispirare “al concetto del cobeneficio. Un progetto su cui spero potremo lavorare insieme. Dobbiamo cominciare a guardare al futuro con un’ottica diversa che è quella della prevenzione, serve l’analisi del rischio di tutto quello che facciamo in vista del Recovery plan. Una nazione smart, una nazione sicura, è in grado di prevedere, e per prevedere bisogna avere la possibilità di osservare le cose e metter insieme informazioni diverse, una nazione dove i cittadini hanno coscienza e consapevolezza. Vivendo a Genova sono particolarmente sensibile a questo tema: ho visto il ponte Morandi crollare da casa mia, sono tutte cose che dobbiamo cominciare a mettere nel paniere delle nostre tecnologie”.
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Il ministro – intervenendo alla Conferenza preparatoria della Strategia nazionale per lo Sviluppo sostenibile – ha delineato il quadro delle sfide che lo attendono: “Più lavoro sul concetto della transizione, più mi rendo conto di quanto sia importante sviluppare un modello adattivo basato sulla conoscenza della situazione e delle istanze presenti. Quello della transizione ecologica non è concetto univocamente definito tra gli Stati”. Secondo Cingolani c’è infatti un divario “a livello planetario che quello che per noi è transizione per altri potrebbe essere una sfida irraggiungibile”, Così come anche per Paesi di “aree omogenee i punti di partenza possono essere molto diversi”.
E’ necessario un approccio ‘glocal’, spiega: “La transizione per la prima volta ci mette di fronte a un approccio che non può essere né globale né locale: si usa in genere il termine glocal, ed è questo l’approccio che bisognerà utilizzare. La transizione va oltre il concetto consolidato di ecologia, è una transizione globale e antropologica. L’ecologia dobbiamo pensarla non solo dal punto di vista dell’ambiente, ma dobbiamo pensare all’ecologia della mente, della società, cioè a un sistema che si regga in piedi con delle regole armoniche. La visione è globale ma le soluzioni devono essere innestate nel tessuto locale”.
Per il ministro quella che viviamo è un’era di “debito ambientale, oltre che economico”. Il motivo è che “la biocapacità del nostro Pianeta tra luglio e agosto sarà terminata: “è spaventoso – dice, parlando dell’Earth overshoot day, il giorno in cui l’umanità consuma le risorse prodotte dalla Terra nel corso dell’anno – le riflessioni per la costruzione di un Piano di transizione ecologica sono numerose. Pensiamo ai cambiamenti climatici: negli ultimi 10 anni 8 di loro sono stati i più caldi di sempre, abbiamo un budget di CO2 che equivale a circa 700 Giga tonnellate e questo, qualora dovesse essere superato, porterebbe a un aumento di temperatura superiore di 2 gradi centigradi al 2040”.
“Anche nella lotta ai cambiamenti climatici vige il principio fisico della termodinamica: il danno è veloce ma il recupero è lungo. Significa che se portiamo la temperatura più su di 2 gradi, il sistema ci mette poi secoli per raffreddarsi – rileva ricordando come questo porti all’innalzamento del livello dei mari – significa che i nostri figli dovranno combattere con città costiere a rischio e con un ecosistema destabilizzato. Non abbiamo molto tempo, siamo a fine partita”.
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Nel capitolo sfide trova posto la lotta all’inquinamento e il miglioramento della qualità dell’aria, a partire dall’elettrificazione dei trasporti e la riduzione dei mezzi privati in circolazione, fino alla necessità di avere un’industria “forte ma nello stesso tempo il più sostenibile possibile”. Poi, le città: “L’urbanizzazione è sicuramente una grande opportunità per molte società, ma nello stesso è un generatore di problemi che va controllato”. E ancora, la lotta alla plastica (“un materiale geniale che però biodegrada in tempi lunghissimi”) e “le emergenze come quelle dei batteri antibiotico resistenti, la tecnologia del cibo, e la nanotoxicology” (nanocompositi totalmente artificiali che il nostro sistema immunitario non è in grado di fermare).
“La soluzione non è fermare il progresso, ma nemmeno dire che in nome del progresso si possa fare tutto – conclude – la sostenibilità è un compromesso tra diverse istanze che cambiano nel tempo, e nel post Covid le istanze saranno diverse da quelle che potevamo avere in un momento di grande floridità economica, dobbiamo essere in grado con coscienza e conoscenza di adattare le nostre scelte alle istanze. La correlazione tra un pianeta in salute, le persone in salute e una società giusta è il vero obiettivo della transizione; su questo non abbiamo la ricetta, non ce l’ha nessuno, stiamo cercando di capire dove andare, di capire la direzione”.