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Cosa succederà al Leaders Summit sul clima di Biden?

Il vertice voluto dal neo presidente americano per riprendersi lo scettro della diplomazia climatica traballa. L’obiettivo è spingere i paesi ad annunciare obiettivi di riduzione delle emissioni più ambiziosi in vista della COP26. Ma ci sono già defezioni pesanti: Cina, India, Brasile, Russia dovrebbero declinare e rappresentano il 40% delle emissioni globali. Atteso l’annuncio sui nuovi target al 2030 di Washington. Bruxelles: “Dev’essere almeno del 50%”

Leaders Summit sul clima: a cosa punta Biden
Credits: Adam Schultz / Biden for President via Flickr | (CC BY-NC-SA 2.0)

L’appuntamento con il Leaders Summit sul clima è per il 22 e 23 aprile

(Rinnovabili.it) – Da candidato presidente, Joe Biden aveva promesso di rivitalizzare l’azione climatica degli Stati Uniti organizzando un vertice internazionale sul clima entro i primi 100 giorni del suo mandato. Con il Leaders Summit on Climate che si terrà il 22 e 23 aprile, in corrispondenza con la Giornata della Terra, il successore di Donald Trump prova a riportare l’America al centro degli sforzi globali nel contrasto al cambiamento climatico. E a riprendersi lo scettro della diplomazia climatica facendo perno su riduzione delle emissioni e finanza climatica.

Ovviamente non ci potrà essere nessuna riedizione di quanto abbiamo visto da Washington sotto la presidenza Obama. Le condizioni sono cambiate, sia per il clima che per la politica. Il livello di ambizione climatica deve essere decisamente più alto di quello a cui si poteva limitare Obama, mentre un’Unione Europea con il Green Deal e una Cina ormai diventata potenza globale in grado di competere alla pari in molti campi con gli USA rendono il terreno più ostico.

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L’obiettivo dichiarato da Biden è molto semplice: evitare che la COP26 sia un fallimento. Come? Spingendo i maggiori inquinatori mondiali che saranno presenti al Leaders Summit sul clima ad annunciare impegni climatici più ambiziosi. Dietro le quinte, la diplomazia climatica a stelle e strisce ha visto l’inviato per il clima di Biden, John Kerry, in un tour de force che nelle ultime settimane lo ha portato in Europa e in Cina, in India e in Corea del Sud.

Operazione che non è affatto neutrale, per quanto lo scopo ultimo sia di mero supporto alla COP26. Infatti, in questo modo Biden sta provando a forgiare il perimetro di una possibile intesa sul clima modellandolo sulle priorità americane. E, soprattutto, provando a obbligare gli altri paesi a seguire l’iniziativa americana, che equivale a riconoscerne – anche indirettamente – una qualche forma di leadership. Motivi per i quali il tour di Kerry ha trovato molte porte aperte ma non di rado interlocutori tiepidi, se non freddi. A partire dalla Cina, che se da un lato ha nel clima forse uno dei pochi dossier su cui è disposta a dialogare con Washington, dall’altro lato non vuole certo farsi dettare l’agenda da Biden.

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Come la Cina, anche Russia e Brasile non dovrebbero annunciare particolari novità nel loro impegno sul clima. Con Mosca c’è il gelo, ma Putin è atteso al vertice e dovrebbe prendere la parola. Con Bolsonaro gli americani hanno provato a trattare, promettendo fiumi di denaro in cambio di impegni precisi contro la deforestazione dell’Amazzonia, ma l’ex parà che ha militarizzato il suo governo continua a sbattere il pugno sul tavolo e chiede più soldi. Più incerta la posizione dell’India, ma anche Nuova Delhi dovrebbe scegliere la via dell’attendismo.

A conti fatti, per quanti nuovi annunci possano arrivare, i veri passi avanti – se ci saranno – peseranno poco. I paesi restii ad alzare il loro impegno sul clima su pressione americana, presi insieme, sono responsabili di circa il 40% delle emissioni globali di gas serra. Chi potrebbe incrementare i propri obiettivi sono Canada, Giappone e Corea del Sud. Tutti con percentuali molto, troppo basse per aspirare alla neutralità climatica entro il 2050, orizzonte a cui hanno già puntato ufficialmente Tokyo e Seul. Ma comunque i 3 paesi insieme contano per il 7% delle emissioni globali, tanto quanto l’India da sola.

E’ possibile quindi che l’unico annuncio di un certo rilievo sarà proprio quello degli Stati Uniti, visto che gli obiettivi europei al 2030 devono ancora essere formalizzati ma sono sostanzialmente noti da mesi. Biden punta a un taglio tra il 48 e il 52%, a quanto trapelato finora. Bruxelles spinge affinché il valore sia almeno del 50%. Numeri che possono trarre in errore se non si presta attenzione all’anno di riferimento. Il 50% americano è riferito al 2005, ma se calibrato sui livelli di emissioni del 1990 si trasforma in un ben più contenuto -41%. Biden è atteso anche per quanto riguarda la finanza climatica: gli USA sono in ritardo con i versamenti promessi di ben 2 miliardi di dollari, e da più parti arriva la richiesta di un deciso cambio di passo.