Crollano i crediti di carbonio sul mercato volontario. Ne rimane inutilizzata una quantità pari alle emissioni del Giappone
Una nuova ricerca su Science individua nei crediti di carbonio forestali da progetti REDD+ uno strumento truccato e potenzialmente dannoso
(Rinnovabili.it) – La bufera sui crediti di carbonio che valgono come carta straccia non si arresta. Dopo la recente inchiesta del Guardian che ha fatto dimettere il CEO di Verra – ente certificatore dei progetti di compensazione del carbonio forestale – ieri la rivista Science ha aperto un nuovo capitolo della vicenda.
Se l’indagine della testata britannica si basava su prove preliminari, adesso infatti c’è la certezza. I progetti di conservazione delle foreste tropicali che generano crediti di carbonio, non hanno nessun impatto positivo. Anzi, non è raro che facciano più male che bene, avallando violazioni dei diritti umani e causando deforestazione altrove. Questa inaffidabilità del meccanismo sta generando una quantità di “crediti spazzatura” pari alle emissioni annue del Giappone. Si tratta di certificati di riduzione delle emissioni che non vengono più acquistati sul mercato volontario del carbonio, perché considerati un classico “pacco”. Molte delle più grandi aziende del mondo hanno utilizzato crediti di carbonio venduti sul mercato volontario non regolamentato (ne esiste anche uno regolamentato), cresciuto fino a raggiungere i 2 miliardi di dollari nel 2021 e i 20 dollari per tonnellata di CO2 equivalente. Ma i recenti scandali sul loro reale impatto hanno fatto crollare la domanda e i prezzi.
La truffa dei crediti di carbonio forestali
Come funziona il meccanismo? Di norma una compagnia inquinante del Nord globale investe in un progetto di cura e conservazione di una superficie forestale ai tropici. Questo, secondo schemi di mercato volontari, permette un maggiore stoccaggio di carbonio. Le foreste da proteggere tramite i progetti, infatti, sono quelle “a rischio taglio”. In questo modo, l’idea è che investire nella conservazione garantisce alla foresta di continuare a svolgere il suo “compito” di serbatoio di carbonio. Se un’azienda investe in progetti di questa natura, può calcolare le tonnellate di CO2 che la foresta salvata assorbirà ogni anno, rispetto a uno scenario in cui quell’area fosse stata deforestata. Il calcolo produce crediti di carbonio, che hanno un valore economico definito dal mercato e possono essere venduti e comprati, in un sistema di finanziarizzazione del clima. Chi compra crediti di carbonio può usarli per compensare emissioni troppo alte nel suo business e far tornare i conti senza modificare le proprie strutture produttive.
Lo schema si chiama REDD+, acronimo di Reducing emissions from Deforestation and Forest Degradation. L’ha inventato nientemeno che l’UNFCCC alla COP19 di Varsavia. Era il 2013 e il meccanismo nasceva per incentivare i paesi in via di sviluppo a ridurre le emissioni dovute alla deforestazione e ai processi di degrado forestale.
Una bolla speculativa
Oggi, dopo dieci anni di progetti avallati e crediti di carbonio emessi, emerge la verità: l’effetto positivo non c’è. Il rischio deforestazione in base ai quali i progetti sono stati approvati, è quasi sempre sovrastimato secondo Science. Quindi i crediti di carbonio generati non hanno alcun effetto reale sul cambiamento climatico. Inoltre, proteggere un tratto di foresta può spingere a deforestarne un altro non protetto in altre zone del mondo. E in più, la protezione delle foreste avviene spesso a danno delle comunità locali e dei popoli indigeni, espulsi dagli ecosistemi in cui vivevano in armonia con la natura perché ritenuti una minaccia.
Si tratta quindi di una bolla speculativa che genera potenziali violazioni dei diritti, senza mitigare la deforestazione o il cambiamento climatico. In base ai progetti di compensazione, però, le imprese hanno potuto portare avanti operazioni di greenwashing, dichiarandosi sostenibili o certificando le loro attività come “a zero emissioni”. Al centro di tutta questa partita ci sono società di certificazione come Verra, che ormai hanno perso molta credibilità. In conseguenza, il prezzo di questi crediti spazzatura potrebbe crollare sotto il peso della loro inaffidabilità. Per gli speculatori potrebbe significare perdere miliardi. Per il bene delle foreste e del nome stesso dell’UNFCCC, diventa quindi urgente un ripensamento radicale dei meccanismi di mercato del carbonio.