Più di 250 ong e centri di ricerca chiedono azioni veloci e efficaci contro la disinformazione climatica. In una lettera aperta propongono le definizioni standard che la COP26 può adottare e suggeriscono le priorità d’azione contro le fake news a Facebook, Google, Instagram, TikTok e altre piattaforme social
L’iniziativa globale contro le fake news sul clima
(Rinnovabili.it) – Serve un’azione globale “veloce e robusta” contro la disinformazione climatica da parte dei “negoziatori alla COP26” ma anche delle “piattaforme tech”. A Glasgow bisogna parlare di fake news sul clima e prendere delle contromisure. Altrimenti, si rischia di vanificare gli sforzi per contenere il riscaldamento globale fatti fin qui, e quelli per cui si stanno gettando le basi in questi giorni al summit in Scozia.
Cos’è la disinformazione climatica
L’appello arriva da 250 tra organizzazioni non governative, think tank e istituti di ricerca tra cui WWF, Friends of the Earth, Global Witness, Hope Not Hate, Carnegie, Institute for Strategic Dialogue, Centre for Countering Digital Hate. “Il cambiamento climatico ha raggiunto un punto di crisi”, scrivono i promotori nella lettera aperta. “La COP26 è un momento chiave per accelerare il nostro impegno verso l’accordo sul clima di Parigi. Questo non può essere minacciato dalla disinformazione”.
Parlare di fake news sul clima, o di fake news in generale, è riduttivo oltre che poco rigoroso. Infatti la lettera accende correttamente un faro su due fenomeni, la disinformazione e la misinformazione (misinformation in inglese) che vanno ben al di là di una notizia “falsa” e indicano un ventaglio di possibili azioni molto più raffinate.
Cos’è quindi la disinformazione climatica? Si tratta di contenuti che sono volutamente ingannevoli (disinformazione) o semplicemente non accurati o completi (misinformazione) che hanno un impatto sulla percezione della crisi climatica da parte del pubblico, e può quindi influenzarne i comportamenti, ma anche le categorie mentali usate per giudicare la gestione del cambiamento climatico.
La lettera aperta ne elenca alcuni tipi. La disinformazione climatica consiste in una notizia che “sminuisce l’esistenza o l’impatto del cambiamento climatico, l’inequivocabile influenza umana” ma anche “la necessità di un’azione urgente” come acclarato dal consenso scientifico in materia sintetizzato nei rapporti dell’IPCC. Una notizia, ancora, che “travisa i dati scientifici, anche per omissione o selezione volontaria, al fine di erodere la fiducia nella scienza del clima, nelle istituzioni incentrate sul clima, negli esperti e nelle soluzioni”. Infine, rientra nelle fake news sul clima un contenuto che “pubblicizza falsamente come favorevoli agli obiettivi climatici sforzi che in realtà contribuiscono al riscaldamento del clima o contravvengono al consenso scientifico sulla mitigazione o l’adattamento”.
Cosa fare contro le fake news sul clima
Definizioni importanti, anzi centrali quando si parla di disinformazione climatica. Uno dei problemi principali, infatti, è che le piattaforme social non solo hanno pochi strumenti e procedure per monitorare e agire se necessario: molte non hanno neppure una definizione standard e operativa del fenomeno che gli permetta di contrastare il fenomeno. Per questo, la lettera aperta chiede alla presidenza della COP26 di adottarle ufficialmente.
Stessa cosa dovrebbero fare le piattaforme tecnologiche come Facebook, Instagram, Google, Twitter, TikTok, Pinterest e Reddit. Per poi aggiornare di conseguenza gli standard delle loro community e stilare un piano aziendale di contrasto alle fake news sul clima (che abbia la massima trasparenza). Altri passi suggeriti, lavorare sui meccanismi di fact checking, comunicare agli utenti le nuove politiche di tolleranza zero verso la disinformazione climatica, e soprattutto ripulire gli ads dalla disinformazione.
“Il problema che stiamo cercando di risolvere è che molte delle grandi piattaforme tecnologiche attualmente non hanno politiche di disinformazione sul clima. Nell’agosto 2021, uno studio di Newsguard e Comscore ha scoperto che 2,6 miliardi di dollari sono stati spesi dai grandi marchi per fare pubblicità su siti di disinformazione”, spiegano i promotori dell’iniziativa.
È un problema che può diventare più acuto proprio in occasioni come la COP26. “La minaccia alla COP26 e all’azione per il clima non è astratta, abbiamo visto la disinformazione far deragliare le conferenze prima. Nel 2018, una campagna online coordinata da populisti di destra, estremisti di estrema destra e teorici della cospirazione ha fatto pressione sui paesi per far diminuire il sostegno al Global Compact on Migration delle Nazioni Unite”. Forse con qualche successo, viste le defezioni.
D’altronde, sappiamo bene come una campagna o un’ondata di post su un certo tema può influenzare l’esito di processi anche molto sensibili, come le elezioni o il trasferimento di poteri politici. Basta pensare agli Stati Uniti del 2016 o a quelli del 6 gennaio 2021, con l’assalto a Capitol Hill zeppo di seguaci di QAnon e altri cospirazionisti. E un rapporto di Real Facebook Oversight Board e Stop Funding Heat uscito a inizio mese spiegava che con l’impennata di fake news sul clima che girano sena problemi sul social di Zuckerberg, non ci vorrà molto prima che la disinformazione online produca effetti anche nel mondo reale. (lm)