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Cosa lega raffinerie, inceneritori e navi agli eventi climatici estremi?

Corpuscoli di grandezza inferiore ai 100 nanometri (0,0001 mm), che agiscono come nuclei di condensazione, hanno un impatto regionale e a breve termine su come si formano ed evolvono le nuvole. E possono facilitare piogge estreme. Derivano dalla combustione delle fossili e superano anche i sistemi di depurazione dei gas di scarico

Eventi climatici estremi: il ruolo delle polveri ultrasottili
Foto di Brigipix da Pixabay

Gli estremi climatici stanno diventando più intensi e frequenti

(Rinnovabili.it) – Sulla moltiplicazione e l’intensità maggiore degli eventi climatici estremi non influisce soltanto la quantità di anidride carbonica in atmosfera, o il tasso di umidità dell’aria sopra la norma causato dal riscaldamento globale. Altri fattori giocano un ruolo tutt’altro che secondario. E aiutano a spiegare perché un evento come una pioggia torrenziale si abbatta localmente con forte intensità, risparmiando aree vicine e, in teoria, ugualmente esposte.

Il “colpevole”? Le particelle ultrasottili che derivano dalla combustione delle fossili e oltrepassano i sistemi di depurazione dei gas di scarico. Corpuscoli di grandezza inferiore ai 100 nanometri (0,0001 mm) che agiscono come nuclei di condensazione, e hanno quindi un impatto regionale e a breve termine su come si formano ed evolvono le nuvole. E arrivano dalle emissioni delle navi, dalle raffinerie, ma anche dagli inceneritori.

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Lo afferma uno studio condotto dall’Institute of Meteorology and Climate Research (IMK-IFU) dell’Università tecnologica di Karlsruhe, in Germania, che si è basato su 20 anni di rilevazioni atmosferiche effettuate in gran parte del mondo. “L’aumento delle particelle ultrafini porta alla formazione di gocce particolarmente fini”, spiegano gli autori dello studio. “Di conseguenza, l’acqua rimane molto più a lungo nell’atmosfera, la pioggia viene inizialmente soppressa e nella media troposfera si sviluppa un’ulteriore riserva di energia che favorisce le precipitazioni estreme. Può accadere a centinaia di chilometri di distanza“. E la distribuzione eterogenea dell’inquinamento attribuito a queste nanoparticelle “potrebbe spiegare le grandi differenze regionali degli eventi climatici estremi”.

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Uno degli hotspot degli estremi climatici, conclude lo studio, è il Mediterraneo. Dagli anni ’70 a oggi, le nanoparticelle in sospensione sono aumentate di 25 volte. Ma non è l’unico. “In alcune località abbiamo trovato fino a 150.000 particelle/cm cubo rispetto alle circa 1.000 particelle di 40 anni fa”, continuano gli scienziati. “Queste concentrazioni estreme sono state attribuite a centrali elettriche, raffinerie o traffico navale e spesso e in particolare a grandi impianti di incenerimento con la più recente tecnologia dei gas di scarico”.