Nelle zone aride del mondo, gli effetti della crisi climatica spesso si sommano a quelli dei conflitti. Gli interventi umanitari dovrebbero considerare l’impatto ambientale delle popolazioni sfollate e la protezione delle risorse naturali nell’attuazione dei loro programmi, specie nelle zone aride
(Rinnovabili.it) – Gli impatti della crisi climatica, più gravi nelle zone aride del mondo, si sommano spesso con gli effetti dei conflitti. Le persone sono costrette a migrazioni forzate a causa delle violenze e dell’insicurezza alimentare.
Secondo il Global Report on Food Crisis 2022, il 70% delle persone che vivono a livelli di insicurezza alimentare acuta o concretamente a rischio di morire di fame si trovano in dieci Paesi situati nelle regioni aride del Pianeta.
Le persone e l’ambiente davanti alla crisi climatica
Il tema è stato ripreso ancora una volta dalla FAO nel policy brief Doing no harm while doing good redatto congiuntamente con CGIAR (Consultative Group for International Agricultural Research) e CARE (un’organizzazione umanitaria internazionale che combatte la povertà e la fame globali con particolare attenzione alle condizioni di donne e ragazze).
L’obiettivo del policy brief è sostenere le persone più fragili lavorando insieme alle comunità locali adottando un approccio olistico.
Il messaggio è quello di attuare interventi umanitari volti a migliorare la sicurezza alimentare senza danneggiare l’ambiente nelle zone aride e le risorse arboree, cercando di non aggravare gli effetti della crisi climatica.
Dal punto di vista ambientale, evidenzia la FAO, le zone aride sono importanti sia per la sicurezza alimentare che per mitigare il cambiamento climatico.
Preservare ecosistemi fragili
Il documento analizza in particolare tre progetti relativi ad aree ecologicamente fragili che ospitano insediamenti di sfollati e ne mostra la delicatezza degli ecosistemi.
Inoltre, spiega come la competizione per le risorse naturali – già messe in pericolo dalla crisi climatica – porti spesso a conflitti tra le comunità ospitanti e gli sfollati. Conflitti dove si scatenano anche violenze sessuali e di genere di cui sono vittime le donne e le ragazze.
Stando a Doing no harm while doing good, gli interventi umanitari dovrebbero considerare l’impatto ambientale delle popolazioni sfollate e la protezione delle risorse naturali nell’attuazione dei loro programmi, specie nelle zone aride.
Aumentano rifugiati e sfollati
Ad esempio, gli interventi mirati alla sicurezza alimentare dovrebbero includere l’accesso all’energia sostenibile per cucinare.
In sostanza, fare in modo che gli sfollati usino il meno possibile il carbone o la legna da ardere, evitando di aggravare a livello locale gli effetti della crisi climatica.
Il documento sottolinea pertanto la necessità di effettuare un’attenta valutazione ambientale prima di intraprendere interventi umanitari, e sollecita lo studio e la comprensione del contesto locale per limitare l’impatto sulla popolazione e il relativo sviluppo di situazioni di conflitto.
Il dato incontrovertibile è l’aumento, su scala globale, del numero dei rifugiati e degli sfollati che si prolunga nel tempo in ambienti sociali già fragili, dove gli effetti della crisi climatica diventano una pericolosa aggravante.