"Se non affrontiamo l’emergenza climatica per tempo e con la necessaria determinazione, a differenza dell’epidemia dovuta al coronavirus non potremo contare sulla scoperta di un vaccino in grado di metterla sotto controllo"
di G.B. Zorzoli
In un editoriale uscito sull’Economist del 23 febbraio 2019 veniva sottolineato che, per le sue caratteristiche, il riscaldamento globale è “un problema diabolico per l’umanità, urgente ma affrontato con il rallentatore, immediato ma distante, reale ma nello stesso tempo astratto”.
Considerazioni analoghe valgono per il coronavirus. I media ci informavano che, per limitare il rischio del contagio, a Wuhan, nella provincia di Hubei, la situazione era così drammatica da avere imposto la segregazione forzata.
Ma, contrariamente al titolo di un film di Bellocchio, la Cina era lontana e per descrivere come l’epidemia veniva da noi vissuta bastano poche modifiche al commento dell’Economist: una situazione drammatica per i cinesi, ma distante, reale ma nello stesso tempo astratta, che potevamo pertanto affrontare con il rallentatore.
Ora, mentre davanti ai nostri occhi scorre il remake dello stesso film dell’incubo, è legittimo porsi una domanda: quanti dei divieti imposti per proteggerci dal coronavirus sarebbero stati evitabili, se avessimo adottato volontariamente e tempestivamente gli opportuni comportamenti, oltre tutto scongiurando migliaia di morti e tantissime sofferenze?
Per non parlare del rischio di una prolungata recessione economica, talmente elevato da indurre i numeri uno dell’OPEC e dell’IEA a manifestare con una comunicazione congiunta profonda preoccupazione per gli impatti della crisi sanitaria sulla stabilità delle economie e dei mercati, in particolare nei paesi in via di sviluppo, compresi quelli fortemente dipendenti dal reddito derivante dalla produzione di petrolio e gas.
Tutto questo, per effetto di un nuovo virus, la cui virulenza è moderata, con ragionevoli prospettive di un superamento della fase più critica a scadenza non molto lontana, dopo di che conviveremo con lui, come già accade con altri suoi confratelli.
Viceversa, se non affrontiamo l’emergenza climatica per tempo e con la necessaria determinazione, a differenza dell’epidemia dovuta al coronavirus non potremo contare sulla scoperta di un vaccino in grado di metterla sotto controllo. Anche se di colpo le emissioni nette di CO2 fossero azzerate, il quantitativo in eccesso già presente nell’atmosfera vi permarrebbe mediamente per circa un secolo, continuando a far sentire i suoi effetti.
Allora, cosa potrebbe succedere se le misure di contrasto alla crisi climatica continuassero a essere tardive e insufficienti, e la crescita della temperatura globale superasse largamente i due gradi?
La ridotta disponibilità alimentare, principalmente a causa dello stress idrico e della minore fertilità del suolo, indebolirebbe le resistenze fisiche degli individui, per di più costretti a convivere con situazioni igienico-sanitarie certo non ottimali. Il rischio di contrarre malattie sarebbe ulteriormente acuito in molte regioni dalla diffusione, per le mutate condizioni climatiche, di agenti patogeni prima assenti e con la popolazione locale priva di adeguate difese immunitarie.
La scarsità di risorse essenziali, a partire dall’acqua, porrebbe limiti alla produzione industriale e al turismo, diminuendo il valore economico dei capitali investiti: conseguenza inevitabile, il progressivo impoverimento della maggior parte della popolazione.
Con colpevole ritardo, i governi sarebbero costretti a reagire, introducendo misure draconiane: razionamento alimentare idrico ed energetico, divieto di spostamenti non autorizzati, chiusura delle fabbriche più climalteranti. Senza migliorare la situazione, solo per impedire il suo peggioramento. Solo dittature senza pietà riuscirebbero a tenerla sotto controllo per decenni.
Al confronto, gli attuali disagi nella vita quotidiana e l’inevitabile peggioramento della situazione economica e sociale sembrano una trascurabile quisquiglia.