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Coronavirus: in Cina le emissioni di CO2 calano del 25% ma non è una buona notizia

Le emissioni di CO2 in Cina sono talmente alte che anche un calo temporaneo potrebbe essere significativo. Secondo le stime, in tre settimane la quantità di anidride carbonica risparmiata potrebbe essere equivalente a quella che lo stato di New York emette in un anno intero.

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Credit: Flick NIAID (CC BY 2.0)

Il blocco di fabbriche, raffinerie e voli ha provocato un calo delle emissioni in Cina.

 

(Rinnovabili.it) – Secondo i dati del Center for Research on Energy and Clean Air, in Cina le emissioni di anidride carbonica sarebbero calate notevolmente nell’ultimo mese a causa dell’epidemia di Coronavirus. Nelle ultime settimane, il blocco di fabbriche e raffinerie, insieme allo stop ai voli, avrebbe comportato un diminuzione delle emissioni di biossido di carbonio di circa il 25% rispetto allo stesso periodo nel 2019, pari a circa 100 milioni di tonnellate.

 

Tutti i settori dell’economia cinese hanno subito un rallentamento o un arresto, e anche i settori non direttamente colpiti da fermi governativi hanno dovuto affrontare conseguenze serie, come nel caso del settore dell’edilizia il cui calo ha comportato una riduzione della domanda di acciaio e altri materiali. O ancora le raffinerie che, essendo diminuiti significativamente i trasporti di merce ed essendo stati bloccati molti voli (il numero si attesta a 13.000 al giorno), stanno producendo meno carburante del solito. Una prima analisi dell’International Energy Agency (AIE) e dell’Organization of the Petroleum Exporting Countries  (OPEC) ha sottolineato che l’epidemia potrebbe comportare una diminuzione fino a mezzo punto percentuale della domanda globale di petrolio tra gennaio e settembre di quest’anno.

 

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Le emissioni cinesi di anidride carbonica sono talmente alte che anche un calo temporaneo, come quello che sembra essere dovuto al Coronavirus, si può dimostrare significativo: in sole tre settimane, la quantità di anidride carbonica che dovrebbe essere stata ‘risparmiata’ è equivalente a quella che lo stato di New York emette in un anno intero, ovvero circa 150 milioni di tonnellate. Ovviamente, si tratta di stime derivanti dai calcoli del rallentamento delle attività nei settori industriali chiave, che pare siano diminuite dal 15% al 40% rispetto allo stesso periodo del 2019.

 

Ma la notizia non ha nulla di positivo. Come spiegano Brad Plumer e  sul NY Times, le perturbazioni economiche su questa scala, causate da malattie o recessioni, sono solitamente accompagnate da gravi costi umani e raramente rendono più facile combattere i cambiamenti climatici. In alcuni casi, possono addirittura renderlo più difficile.

E’ probabile infatti che le emissioni cinesi aumenteranno rapidamente quando l’epidemia sarà finalmente contenuta. Li Shuo, consulente politico senior di Greenpeace Asia, ha affermato che in passato le fabbriche cinesi tendevano a incrementare la produzione per compensare la perdita di produzione o gli arresti temporanei, una pratica che chiama “inquinamento da ritorsione”. Gli ambiziosi obiettivi fissati dal governo cinese per la crescita economica del 2020 potrebbero infatti obbligare il paese a ‘recuperare il tempo perduto’, il che potrebbe tradursi in nuove politiche per stimolare settori industriali inquinanti come quelli della produzione di acciaio e cemento. “Il controllo dell’epidemia e il mantenimento della crescita economica saranno ora la massima priorità per la Cina“, ha affermato Li. Secondo l’attivista, se si deve imparare dalla storia è necessario tener conto che “ogni volta che la crescita economica deve essere prioritaria, l’agenda ambientale passa in secondo piano”.

 

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