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COP 27: un’altra occasione sprecata

Il 27° vertice Onu sui cambiamenti climatici si chiude con il solito rinvio all’anno prossimo delle decisioni più importanti

COP 27
via depositphotos.com

di Andrea Masullo

Sono passati sette anni dall’accordo di Parigi, che fu accolto con entusiasmo quasi unanime dal mondo politico e dalla maggior parte delle associazioni ambientaliste. Già allora Greenaccord manifestò le sue perplessità sulla fragilità di tale accordo per l’assenza di vincoli e strumenti politici, e per l’introduzione dell’obiettivo della neutralità carbonica in sostituzione della riduzione delle emissioni. Tale fragilità è stata già confermata l’anno scorso a Glasgow, dove anche l’uscita dal carbone (phase-out) venne sostituita dopo convulse trattative dell’ultima ora, con una più blanda riduzione (phase-down). La neutralità è solo un alibi teorico che non dà garanzie durature, come dimostrano i 130 milioni di ettari di foreste perse negli ultimi 5 anni nel mondo.

Sono stati sette anni durante i quali le concentrazioni atmosferiche di gas serra sono continuate a crescere addirittura con una impennata delle curve, attestandosi sulle 420 ppm (parti per milione) e continuando la corsa verso le 500 ppm considerato dalla scienza la soglia di irreversibilità del cambiamento climatico. Si tratta delle concentrazioni più alte degli ultimi 2 milioni di anni, con la differenza che allora si era giunti a questi livelli a causa di attività vulcaniche che una volta cessate consentirono il lento recupero della normalità.

Oggi sono invece dovute quasi esclusivamente all’uso dei combustibili fossili che quindi solo noi possiamo e dobbiamo decidere di interrompere. L’obiettivo di mantenere l’aumento medio di temperatura sotto 1,5°C, riconosciuto da tutti a Parigi, è ormai poco più di un miraggio; nell’ultimo anno l’aumento delle temperature si è già attestato fra 1,1 e 1,2°C, che, a causa dell’accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai e del permafrost, hanno innescato una accelerazione del riscaldamento. Consideriamo inoltre che fino ad oggi gli oceani hanno assorbito più di un quarto delle nostre emissioni di CO2 e che la loro capacità di assorbimento sta entrando in una prospettiva di progressivo esaurimento. Tutto ciò ci trascina verso uno scenario futuro che vedrebbe entro la fine del secolo molto probabilmente un aumento delle temperature medie ben oltre i 2,5°C, con conseguenze catastrofiche. 

In apertura della COP 27, Capi di Stato e di Governo hanno sciorinato come sempre le loro migliori intenzioni per scongiurare un collasso senza rimedio del sistema climatico. Poi ci sono stati i soliti due giorni finali convulsi in cui le decisioni concrete sono state rinviate alla prossima COP. Unica nota positiva è l’istituzione di un fondo delle Nazioni Unite per il sostegno ai paesi in via di sviluppo, per fronteggiare quel cambiamento climatico (Loss and Damage) del quale hanno una responsabilità molto marginale. Il fondo era stato ritenuto urgente nel 2013 durante la COP 19 di Varsavia; son passati nove anni da allora e ancora la cassa langue quasi vuota. 

Possiamo ben dire che dopo 27 anni di COP, gli unici progressi reali sono stati quelli della scienza del clima, che ha confermato con estrema certezza che i cambiamenti climatici osservati dipendono quasi esclusivamente dalle emissioni di gas serra da parte dell’uomo. Quindi l’unica soluzione è azzerare al più presto tali emissioni lasciando la massima parte degli assorbimenti forestali a svolgere il ruolo essenziale di accelerare la rimozione diretta della CO2 dall’atmosfera, senza farne un alibi compensativo.

Sebbene in questi ultimi anni le tecnologie sulle energie pulite e rinnovabili abbiano conseguito progressi eccezionali nell’efficienza e nella riduzione dei costi, fino alla piena competitività, potendo godere anche di un altrettanto grande progresso delle nuove tecnologie per grandi-impianti di accumulo energetico che ne compensino l’intermittenza, siamo ancora senza decisioni concrete e vincolanti. Continuano a mancare strumenti economici come potrebbe essere l’applicazione di un dazio sul differenziale fra la carbon footprint e le migliori tecnologie per le merci che viaggiano nel commercio internazionale, che costituirebbe un dissuasore del dirty trading. I politici non hanno più alibi per ritardare la transizione ecologica e tecnologica necessaria eppure, anche di fronte agli enormi danni che ormai il clima sta causando in questi ultimi anni, continuano a difendere strenuamente l’interesse di industrie fossili senza futuro ma con un grande potere economico.

In Italia le energie rinnovabili continuano ad esser ostacolate dalla burocrazia, anche oggi che oramai hanno superato la soglia di competitività sia rispetto alle fonti fossili che al nucleare. La Germania si è impegnata ad installare 20 GW/anno di energia rinnovabile; l’Italia appena 0,8 GW/anno. Nel nostro Paese, l’azienda energetica di Stato ha ancora come core business il gas e il petrolio, invece di mettere a frutto la propria esperienza in mare per sviluppare l’eolico fluttuante ed investire sull’industrializzazione dei tanti brevetti prodotti nelle nostre università e nei centri di ricerca sul fotovoltaico. Nessuno si occupa più della geotermia di media temperatura, abbondante su tutta la fascia appenninica e convertibile in elettricità senza discontinuità.

La politica per 27 anni ha fallito e continua a fallire su un problema che riguarda il nostro presente e minaccia in modo irreversibile il futuro dell’umanità. Tutti concordano che il malato è grave, la scienza ha definito la cura per salvarlo, ma i Governi Mondiali rinviano di anno in anno le terapie necessarie avvicinando il pianeta malato ad un esito irreversibile.

di Andrea Masullo – Direttore scientifico di Greenaccord