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The Lancet, col cambiamento climatico ci giochiamo un futuro sano

Il rapporto annuale Countdown on health and climate change della prestigiosa rivista The Lancet fa il punto sulla situazione del rapporto tra clima e salute. Peggiorano tutti gli indicatori, in alcuni casi in modo grave. Il climate change è il fattore che più di ogni altro definisce la nostra salute

cambiamento climatico
Foto di Егор Камелев da Pixabay

Siamo ancora impreparati all’impatto del cambiamento climatico sulla salute

(Rinnovabili.it) – Codice rosso per un futuro sano. L’impatto del cambiamento climatico in tutto il mondo sta diventando il fattore che più di ogni altro definisce la qualità della salute. E il costo di non fare nulla per frenare il climate change continuerà a crescere e si misurerà, sempre di più, in aumento dei decessi, maggiore incidenza di alcune patologie invalidanti o letali, e diffusione di epidemie. L’allarme arriva dalla prestigiosa rivista scientifica Lancet, che pubblica come di consueto l’edizione 2021 del suo Countdown on health and climate change, un punto della situazione sullo stato del rapporto tra clima e salute.

“I dati in questo rapporto espongono gli impatti sulla salute e le disuguaglianze sanitarie del mondo attuale a 1,2°C di riscaldamento al di sopra dei livelli preindustriali e supportano l’affermazione che, sulla traiettoria attuale, il cambiamento climatico diventerà la narrativa che definisce la salute umana”, si legge nel rapporto di Lancet.

Il cambiamento climatico tra economia e food security

Il dossier sintetizza i dati raccolti sulla base di 44 indicatori e restituisce uno spaccato disastroso del rapporto tra clima e salute. Compresi nuovi record e tendenze in continuo – e rapido – peggioramento. Le temperature record nel 2020 hanno portato a un nuovo massimo di 3,1 miliardi di giorni per persona in più di esposizione alle ondate di calore tra over 65, rispetto alla media annuale del 1986- 2005 di riferimento. L’esposizione alle ondate di calore estreme colpisce soprattutto i paesi con bassi valori nell’indice di sviluppo umano (HDI), quindi già più vulnerabili. Con ricadute a livello economico: “i guadagni potenziali medi persi nei paesi del gruppo a basso HDI erano equivalenti al 4-8% del prodotto interno lordo nazionale”.

Sul fronte della sicurezza alimentare e idrica le cose vanno anche peggio: ci sono chiare indicazioni che i progressi fatti negli ultimi anni a livello globale non solo stanno rallentando, ma vengono cancellati dal cambiamento climatico. Attraverso “l’aumento delle temperature medie e l’alterazione degli schemi delle precipitazioni, il cambiamento climatico sta iniziando a invertire anni di progressi nell’affrontare l’insicurezza alimentare e idrica che colpisce ancora le popolazioni più svantaggiate del mondo, negando loro un aspetto essenziale della buona salute”. Nel 2020, fino al 19% della superficie terrestre globale è stata colpita da siccità estrema, valore che non aveva mai superato il 13% tra il 1950 e il 1999. Il caldo record diminuisce anche la resa delle principali colture mondiali, base dell’alimentazione di miliardi di persone: nel 2020 si registra una riduzione del 6% per il mais, 3% per il frumento invernale, 5,4% per la soia e 1,8% per il riso, rispetto al 1981-2010.

Non abbiamo imparato la lezione del Covid-19

E poi c’è il preoccupante capitolo malattie infettive. Il cambiamento climatico crea condizioni favorevoli alla proliferazione, lo sviluppo, la diffusione geografica e la trasmissione di molti agenti patogeni veicolati dall’acqua, dall’aria, dal cibo e da altri vettori. È il caso della malaria, ma anche del virus dengue, il virus Zika e il virus chikungunya, che attualmente colpiscono principalmente le popolazioni dell’America centrale, del Sud America, dei Caraibi, dell’Africa e dell’Asia meridionale. Migliorano anche le condizioni di diffusione del colera.

E gli Stati non sono preparati a dovere per nessuna di queste sfide. “Anche con prove schiaccianti sugli impatti dei cambiamenti climatici sulla salute”, nota Lancet, “i paesi non stanno fornendo una risposta di adattamento proporzionata ai crescenti rischi che le loro popolazioni devono affrontare”. Nel 2020, 104 (63%) dei 166 paesi considerati nello studio non hanno avuto un alto livello di attuazione dei quadri nazionali di emergenza sanitaria, fatto che li lascia impreparati a rispondere a pandemie ed emergenze sanitarie legate al clima.

Tutti motivi che rendono davvero cruciale l’appuntamento della COP26 che si apre fra due settimane a Glasgow. Siamo a un bivio. I risultati dei dibattiti sulla spesa nazionale e dei negoziati internazionali sul clima o “bloccheranno l’umanità in un ambiente sempre più estremo e imprevedibile”, afferma il rapporto, oppure “offriranno un futuro di salute migliore, riduzione delle disuguaglianze e sostenibilità economica e ambientale”.

(lm)