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Il cambiamento climatico moltiplica le guerre

Anche se non c’è consenso scientifico sul ruolo del cambiamento climatico come cause diretta di conflitti violenti, il climate change è indicato da tutti come un moltiplicatore di rischio. L’Institute for Economics and Peace ne ricava una mappa mondiale degli hotspot più a rischio collasso

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Profughi in Darfur aspettano il loro turno per avere dell’acqua. By Nite Owl – https://www.flickr.com/photos/nite_owl/356805018/in/set-72157594239305250/, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3443272

Un nuovo studio fa il punto sul rapporto tra conflitti e climate change

(Rinnovabili.it) – La devastazione dell’ambiente e le guerre sono collegati. Esiste un circolo vizioso in cui il primo alimenta le seconde e viceversa, ed entrambi sono aggravati dal cambiamento climatico. E in alcune regioni della Terra è ormai un meccanismo quasi autonomo, difficile da fermare o anche solo rallentare. Lo sostiene l’Ecological Threat Report 2021, giunto alla sua seconda edizione e preparato dal think tank Institute for Economics and Peace (IEP).

Il tema del rapporto tra cambiamento climatico e conflitti è molto controverso nel dibattito scientifico. Il punto su cui si discute molto è se esiste un rapporto causale, se cioè il climate change può essere annoverato come causa principale di una guerra. Lo IEP aggira il problema affrontando la questione da un angolo diverso: quello dell’effetto moltiplicatore del cambiamento climatico su alcuni tipi di rischi e minacce. Un tema, questo, su cui al contrario c’è ampio consenso scientifico.

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“Molte minacce ecologiche esistono indipendentemente dal cambiamento climatico”, scrivono gli autori. “Tuttavia, il cambiamento climatico avrà un effetto di amplificazione, causando un ulteriore degrado ecologico e spingendo alcuni paesi verso punti di non ritorno violenti”. Il clima interagisce con altri fattori, come l’aumento demografico, e acuisce il rischio di conflitti (l’IEP si basa sul Global Peace Index, uno dei più affidabili in questo ambito): “La combinazione di una debole resilienza socioeconomica, di un rischio ecologico estremo e di una rapida crescita della popolazione può portare al collasso della società”.

Il dossier analizza quasi 180 paesi, praticamente il 99% della popolazione mondiale. E identifica alcuni hotspot, 30 paesi dove vivono 1,26 miliardi di persone in cui la combinazione di fattori può diventare un mix letale nei prossimi anni. Sono concentrati in tre macro-regioni: la fascia che include Sahel e Corno d’Africa, la fascia dell’Africa meridionale dall’Angola al Madagascar, e la vasta regione che dal Medio Oriente si allunga verso l’Asia centrale e comprende i paesi che vanno dalla Siria al Pakistan.

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Rivolgimenti sociali violenti e un ulteriore degrado ambientale in questi paesi possono far impennare i dati sull’insicurezza alimentare. Secondo i calcoli di IEP, dai 757 milioni di persone che oggi sono sottonutrite, si potrebbe arrivare a 1,1 miliardi nel 2050: un aumento del 45%.

Osservati speciali quei paesi dove crisi ecologica e guerra sono già presenti da tempo. “Undici dei quindici paesi che affrontano le peggiori minacce ecologiche sono attualmente in conflitto e altri quattro sono ad alto rischio di sostanziali riduzioni della pace”, scrivono gli autori citando in particolare Afghanistan, Yemen, Somalia, Niger, Burkina Faso e Pakistan.

(lm)