In una seduta del Consiglio di Sicurezza Onu dedicata all’innalzamento del livello degli oceani, il segretario generale Guterres avverte: “Assisteremmo a un esodo di massa di intere popolazioni su scala biblica e a una competizione sempre più forte per l'acqua dolce, la terra e altre risorse”. Il rischio si concretizzerà nella maggior parte del Pianeta già entro i prossimi 80 anni
Entro il 2100 l’Ipcc stima che l’aumento del livello dei mari potrebbe attestarsi tra 60 cm e 1,1 m
(Rinnovabili.it) – Un rischio “inimmaginabile” per miliardi di persone sul Pianeta. Non in un futuro lontano, ma già entro i prossimi 80 anni. E in qualsiasi scenario emissivo si voglia considerare, anche il più ottimista (ormai sostanzialmente fuori portata). Con queste parole il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha esortato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a non sottovalutare la minaccia dell’aumento del livello dei mari durante una seduta esclusivamente dedicata alle ricadute sulla sicurezza, i diritti umani, il diritto internazionale e la coesione sociale di questo fenomeno globale.
Esodi “su scala biblica”
“L’impatto dell’innalzamento dei mari sta già creando nuove fonti di instabilità e di conflitto”, ha affermato il diplomatico portoghese. Se qualche decennio fa tenevano banco le future “guerre dell’acqua”, oggi la valutazione del numero uno delle Nazioni Unite è più complessa e sfaccettata. E pessimista.
In alcune regioni del Pianeta, l’aumento del livello dei mari è tre volte la media globale. Nel giro di pochi decenni interi paesi e comunità potrebbero scomparire per sempre. Con conseguenze abnormi: “Assisteremmo a un esodo di massa di intere popolazioni su scala biblica e a una competizione sempre più forte per l’acqua dolce, la terra e altre risorse”, ha avvertito.
In questo senso, diventa indispensabile garantire i diritti fondamentali e le identità delle persone costrette a lasciare la propria terra a causa dell’innalzamento degli oceani causato dal cambiamento climatico. Lo ha affermato durante la seduta il co-presidente del gruppo di studio dell’International Law Commission (Ilc) dell’Onu sul Sea Level Rise, il romeno Bogdan Aurescu. L’Ilc è un organo che ha il compito di sistematizzare e codificare il diritto consuetudinario. In pratica, è un passo verso il riconoscimento dei rifugiati climatici. Che è anche l’obiettivo dello Special Rapporteur ONU su clima e diritti umani, Ian Fry, nominato l’anno scorso.
L’impatto dell’aumento del livello dei mari
Ma non c’è solo un tipo di minaccia esistenziale per qualcuno, dietro l’aumento del livello dei mari in tutto il mondo. Questo fenomeno inizia a far sentire il suo impatto anche in altri ambiti, in modo lento ma inesorabile. E per questo è “un moltiplicatore della minaccia”. Basta pensare agli effetti dell’intrusione di acqua salata -li abbiamo visti in modo eccezionale in Italia la scorsa estate, ma a causa della siccità in Nord Italia- sull’accesso all’acqua e al cibo, su interi settori dell’economia, sul turismo, sulle infrastrutture. Impatti anche più pesanti possono colpire alcuni dei punti più fertili del Pianeta come il delta del Nilo e quello del Mekong, dalle cui risorse dipendono centinaia di milioni di persone.
Se ora sono solo alcune regioni a subire danni evidenti, in un futuro prossimo l’aumento del livello dei mari diventerà una minaccia ovunque. Megalopoli di tutti i continenti subiranno gravi impatti, tra cui Lagos, Bangkok, Mumbai, Shanghai, Londra, Buenos Aires e New York. In tutto sono 900 milioni di persone quelle che vivono nelle zone costiere a bassa quota, una persona su dieci sulla Terra. Alcune previsioni stimano che entro il 2100 saranno tra i 250 e i 400 milioni le persone che avranno bisogno di spostarsi altrove.