Senza una riduzione drastica e veloce dei gas serra antropici, entro il 2100 l’Artico potrebbe essere responsabile del 40% di emissioni in più. E tagliare le gambe ai nostri piani climatici, vista l’enorme quantità di gas climalteranti stoccata nell’estremo lembo settentrionale del pianeta
Incendi e permafrost artico al centro di uno studio pubblicato su Pnas
(Rinnovabili.it) – Sulle conseguenze dei cambiamenti climatici nell’Artico la scienza non è ancora riuscita a mettere un punto fermo. Molti studi cercano di stimare le possibili emissioni di metano che provengono dal permafrost in via di scioglimento, sia quello terrestre che quello marino. Altri lavori provano a calcolare i “tipping point” della regione, quei punti di non ritorno oltre il quale qualsiasi riduzione delle emissioni antropiche non riesce a disinnescare i processi in atto.
In un articolo appena pubblicato su Pnas, un team di ricercatori del Woodwell Climate Research Center americano guardano a questi problemi da un’altra angolatura: che effetto avrà il riscaldamento dell’Artico sulla nostra possibilità di raggiungere gli obiettivi climatici che ci siamo prefissi?
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“L’Artico è in procinto di disintegrarsi come lo conosciamo e il permafrost è una componente importante con alcune implicazioni piuttosto gravi”, introduce Rafe Pomerance, uno dei co-autori dello studio. Secondo le stime dei ricercatori, senza un taglio delle emissioni di gas serra consistente e in tempi rapidi, nel 2100 l’Artico produrrà il 40% di emissioni in più rispetto alle previsioni attuali.
Colpa di stime, quelle su cui si basano i calcoli odierni del nostro carbon budget globale, che non sono in linea con gli ultimi dati rilevati per l’estremità settentrionale dell’emisfero nord. Sotto la lente finiscono soprattutto gli incendi e lo scioglimento del permafrost.
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L’anno scorso, incendi senza precedenti nella regione hanno rilasciato circa il 35% in più di anidride carbonica rispetto al 2019. Incendi che intensificano il processo di scioglimento del permafrost, insieme alle ondate di calore anomale e, più in generale, il riscaldamento globale che nell’Artico ha già superato la soglia di 2°C. Nel complesso, sostiene lo studio, questi fattori possono esporre il permafrost profondo, cosa che porterebbe a eventi di scioglimento su scala molto più ampia e più rapidi.
E innescare così un meccanismo di feedback positivo che rende obsoleti i modelli climatici su cui ci basiamo ora. “Nonostante il potenziale per un forte feedback positivo dal carbonio del permafrost sul clima globale, le emissioni di carbonio del permafrost non sono contabilizzate dalla maggior parte dei modelli del sistema terrestre (ESM) o dei modelli di valutazione integrata (IAM), compresi quelli che hanno informato l’ultimo rapporto di valutazione del gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) e gli IAM che hanno informato il rapporto speciale dell’IPCC sul riscaldamento globale di 1,5°C”, scrivono gli autori.