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Acqua, batteri, CO2: oceani più caldi danneggiano il clima

Il team di ricerca ha analizzato i risultati di 81 missioni oceanografiche che hanno raccolto campioni dai fondali negli ultimi 50 anni

Riscaldamento degli oceani: le conseguenze su mari e clima globale
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Pubblicato su Nature lo studio sull’impatto di oceani più caldi sul ciclo del carbonio

(Rinnovabili.it) – Gli oceani sono uno dei pozzi di carbonio più preziosi al mondo. Sono le distese di acqua salata a catturare e trattenere circa 1/3 dell’anidride carbonica emessa dall’uomo ogni anno in atmosfera. Tuttavia, questo ruolo di carbon sink scricchiola sotto il peso del riscaldamento globale. Oceani più caldi sono ecosistemi meno in grado di stoccare la CO2. Il motivo? L’effetto dell’aumento termico sul metabolismo dei batteri che si trovano nei fondali.

Non solo: l’andamento del clima influenza molto, e molto in fretta, i cambiamenti nella capacità degli oceani di trattenere il biossido di carbonio. “Quello che stiamo scoprendo è che il seppellimento del carbonio organico è molto attivo”, spiega Mark Torres della Rice University. “Cambia molto e risponde al sistema climatico terrestre molto più di quanto gli scienziati pensassero in precedenza”.

Ad affermarlo è uno studio monumentale pubblicato questa settimana su Nature. Un team di ricercatori della Rice University, Texas A&M University, University of Leeds e Università di Brema hanno unito le forze per analizzare i risultati di 81 missioni oceanografiche che hanno raccolto campioni dai fondali negli ultimi 50 anni. Risultato? Hanno ottenuto una mappa molto dettagliata dell’andamento del ciclo del carbonio negli oceani negli ultimi 30 milioni di anni.

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“Se i nostri nuovi dati si riveleranno corretti, allora cambieranno molte delle nostre conoscenze sul ciclo del carbonio organico”, commenta Yige Zhang, primo autore della ricerca. Oceani più caldi renderanno “più difficile per il carbonio organico trovare la strada per essere sepolto nel sistema sedimentario marino”.

Il “se” dipende dall’approccio seguito, che ribalta quello tradizionale. Di solito gli scienziati calcolano il ciclo del carbonio oceanico con un metodo top down, calcolando la differenza tra due isotopi del carbonio assorbiti dalle piante. Lo studio pubblicato su Nature invece è il primo a tentare la strada bottom up, ricostruendo una mappa globale a partire dai dati reali del carbonio presente nei sedimenti.

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