Secondo un’analisi condotta da Care International, nonostante sia chiaro il nesso tra cambiamenti climatici e crisi umanitarie, i media non si interessano al fenomeno: su un milione di notizie online analizzate, poco più di mille notizie ne hanno parlato
Care International ha trovato il nesso tra cambiamenti climatici e crisi umanitarie in Sudan, Ciad, Filippine, Madagascar, Etiopia e Haiti
(Rinnovabili.it) – Tra cambiamenti climatici e crisi umanitarie sembra esserci un nesso diretto, eppure il fenomeno sembra essere ancora troppo sottostimato e soprattutto poco trattato dai giornali. Secondo un’analisi condotta da Care International, organizzazione umanitaria che combatte la fame nel mondo, su oltre un milione di notizie online, intere popolazioni sono state colpite da crisi alimentari in paesi devastati da siccità e uragani, come successo in Etiopia e ad Haiti, ma entrambe le emergenze umanitarie hanno generato più di 1.000 notizie a livello mondiale. Stessa osservazione per il Madagascar, dove più di un milione di persone ha sofferto la fame a causa della siccità e di condizioni estreme dovute a El Niño, che hanno devastato i raccolti di mais, manioca e riso e ridotto in fin di vita la metà dei bambini del paese; un fenomeno che però è stato trattato pochissimo dalla stampa.
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Come spiegato dal responsabile dei cambiamenti climatici di Care International, Sven Harmeling, le persone che vivono nei paesi più poveri del mondo sono anche quelle più vulnerabili ai cambiamenti climatici e le meno equipaggiate per affrontare gli impatti crescenti. I media non possono chiudere gli occhi su tali situazioni e sul nesso tra cambiamenti climatici e crisi umanitarie. In tutto il mondo, gli eventi meteorologici estremi hanno provocato circa 5.000 vittime nel 2018, e hanno lasciato quasi 29 milioni di persone bisognose di aiuti umanitari. L’analisi di Care International collega i cambiamenti climatici ai disastri civili in Sudan, Ciad, Filippine, Madagascar, Etiopia e Haiti. Nove tra le 10 tragedie più trascurate dai media si sono verificate in Paesi nei paesi del gruppo di stati ACP (Africa, Caraibi e Pacifico). “Cerchiamo sempre di dimostrare che questi disastri sono legati ai cambiamenti climatici – ha commentato il segretario generale aggiunto dell’ACP, Viwanou Gnassounou – ma dobbiamo lottare per far sentire le nostre ragioni e fino ad ora non abbiamo avuto molto successo. La copertura media è scarsa e parla soprattutto di “disastro”, non di fenomeni legati ai cambiamenti climatici o alle sue conseguenze”.
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Gli scienziati tendono a essere cauti nell’attribuire eventi meteorologici individuali al riscaldamento globale, eppure l’anno scorso il Consiglio consultivo scientifico delle accademie europee ha imputato al cambiamento climatico la responsabilità dell’aumento del 50% della frequenza di inondazioni tempeste, siccità e ondate di caldo; anche la World Meteorological Organization ha descritto i fenomeni estremi in atto come coerenti agli effetti dei cambiamenti climatici. Uno dei più importanti scienziati del clima del mondo, il prof. Michael Mann, ha descritto l’accelerazione degli eventi meteorologici estremi come “il volto del cambiamento climatico”. C’è anche tuttavia anche un altro lato della medaglia, che invita alla cautela nel considerare il nesso tra cambiamenti climatici e crisi umanitarie: per il vicedirettore dell’Istituto di cambiamento ambientale dell’Università di Oxford, Friederike Otto, non tutti i disastri umanitari hanno come protagonisti i cambiamenti climatici; alcuni sono effettivamente resi meno probabili dai cambiamenti climatici, in altri cambiamento climatico svolge solo un ruolo minore, se non uno qualsiasi.