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Buco dell’ozono: la misteriosa fonte dei gas CFC-11? L’industria cinese

Il triclorofluorometano è facile da produrre ed economico. Per questo motivo le fabbriche cinesi di schiume isolanti lo stanno utlizzando nonostante il divieto mondiale

Buco dell’ozono cfc-11
Un membro dello staff della Dacheng Desheng Chemical Co Ltd in Cina mostra i barili contenenti CFC-11

 

 

L’uso illegale di CFC-11 mette a rischio il processo di recupero del buco dell’ozono

(Rinnovabili.it) – Chi è che dal 2014, in barba ai divieti mondiali, sta ancora usando i clorofluorocarburi, le sostanze ritenute responsabili del buco dell’ozono? La risposta è semplice: la Cina. Dopo l’allarme lanciato dalla NOOA su un inspiegabile aumento delle emissioni atmosferiche di CFC-11 – composto chimico bandito dal 2010 -, l’Environmental Investigation Agency aveva iniziato a cercarne la fonte. E dopo meno di due mesi di investigazioni, il mistero è stato parzialmente risolto. Gli investigatori dell’ONG hanno portato alla luce un uso diffuso del triclorofluorometano nelle fabbriche cinesi che producono schiume isolanti. “Siamo rimasti sbalorditi quando di 21 aziende contattate, 18 di loro hanno confermato l’uso di CFC-11, pur riconoscendone l’illegalità ed essendo completamente indifferenti riguardo al suo utilizzo”, ha commentato Avipsa Mahapatra dell’agenzia, spiegando di aver ricevuto conferme di quanto sia comune questa pratica nel settore. Il composto è infatti facile da produrre  e molto più economico dell’alternativa ozone-friendly.

 

Il problema ha assunto dimensioni degne di note dal momento che la Cina è un importante produttore di schiume poliuretaniche rigide. L’ONG calcola che se davvero l’uso illegale di CFC-11 dovesse essere diffuso in tutte le 3.500 piccole e medie imprese che compongono il comparto, questo basterebbe per spiegare l’aumento dei gas in atmosfera registrato, senza cercare altri colpevoli. “Non sapevamo per quale motivo qualcuno sulla Terra avrebbe ancora usato il CFC-11. Beh, ecco la risposta ed è davvero una sorpresa“, commenta al Guardian, Steve Montzka della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOOA), il cui team ha rivelato per primo le emissioni del gas collocandone la fonte in Asia orientale. Non è escluso, ha avvertito la NOOA, che esistano anche altri fonti illegali di CFC-11, ma scoprirne le origini non è l’unico elemento importante.

 

Senza una decisa azione per contrastare queste emissioni, spiegano gli scienziati si potrebbe ritardare il processo di recupero del buco dell’ozono di un decennio. Le prove raccolte dall’Environmental Investigation Agency sono state trasmesse al governo cinese, che ha già ispezionato e prelevato campioni da alcuni siti, e ai funzionari del Protocollo di Montreal, il trattato per l’eliminazione delle sostanze chimiche all’origine del buco dell’ozono. Un gruppo di lavoro parlamentare si riunirà a Vienna l’11 luglio e prenderà in considerazione i prossimi passi.