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Brasile, centinaia di volontari intossicati dal petrolio

Scesi in spiaggia per ripulire le coste senza alcuna attrezzatura, centinaia di volontari sono rimasti intossicati dal petrolio depositatosi sulla costa. Ancora da chiarire cause e responsabili: Bolsonaro parla di "atto criminale" per sabotare un'asta di diritti di prosperazione

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Credit: TV BrasilGov

 

I volontari sono scesi in spiaggia per pulire le chiazze di petrolio depositatesi lungo la costa, ma il Governo nega i rischi per ambiente e salute

(Rinnovabili.it) – Oltre ai 2000 km di costa raggiunti, le 600 tonnellate di petrolio finora raccolte nel nord del Brasile hanno avvelenato anche i volontari scesi in spiaggia – senza alcun addestramento ed equipaggiamento – per ripulire a mani nude le chiazze solidificate di catrame.

Il dipartimento di salute di Pernambuco – Stato tra i più colpiti dalla marea nera – ha dichiarato giovedì che 19 persone sono state ricoverate in ospedale per intossicazione da contatto diretto con il petrolio e i solventi utilizzati per diluirlo nelle operazioni di pulizia. I media locali hanno anche riferito che in centinaia, pur non essendosi rivolti alle strutture ospedaliere, hanno comunque accusato gravi sintomi da intossicazione.Il giorno dopo ho avuto nausea e diarrea e un forte mal di testa“, ha detto a Reuters Vera Lucia Silva, un’impiegata del governo locale che, insieme ad un’amica, ha raccolto a mano più di 80 kg di petrolio lungo la spiaggia di Itapuama, a sud di Recife.

 

L’intervistata ha affermato anche che le autorità locali non hanno fornito alcuna attrezzatura e che dopo un paio di giorni diversi gruppi di beneficenza hanno distribuito maschere e stivali. La situazione è molto rischiosa: Gerald Graham, canadese esperto nelle operazioni di bonifica nelle fuoriuscite di petrolio, ha affermato che le autorità dovrebbero chiudere le spiagge ai non addetti ai lavori poiché l’esposizione al petrolio può essere molto pericolosa e causare gravi lesioni o persino la morte.
In tutta risposta, il ministro del turismo Marcelo Alvaro Antonio ha visitato lo scorso venerdì Porto de Galinhas, un centro turistico a Pernambuco, immergendo i piedi in mare per dimostrare che “le spiagge del Brasile sono pulite e aperte agli affari”. Intanto però, nella vicina Bahia, i volontari si organizzavano nel gruppo “Guardiani della costa”, raggiungendo oltre 19.000 follower su Instagram e raccogliendo 4.800 dollari online per l’acquisto di guanti, stivali e maschere protettive: “questa è un’organizzazione della società civile. Il nostro movimento non supporta alcun partito politico, sosteniamo la natura – ha affermato Miguel Sehbe Neto, 37enne a capo di una delle 20 squadre impegnate nella pulizia delle spiagge – ciò che vogliamo è una spiegazione e un’azione efficace.” 

 

Il governo brasiliano ha affermato di aver seguito i protocolli standard fin dall’inizio del disastro ambientale ma in molti – tra cui la procura federale (Ministério Público Federal, Mpf) – hanno accusato il governo di Brasilia di non aver organizzato una sufficientemente rapida risposta al disastro.  José Álvaro Moisés, professore ordinario di scienze politiche all’Università di San Paolo, ha osservato che in aprile il governo di Bolsonaro ha chiuso due comitati che facevano parte del piano nazionale di emergenza del Brasile per le fuoriuscite di greggio.

A due mesi dal disastro – forse il peggiore mai accaduto nell’area – rimangono ancora da chiarire cause e responsabili. Bolsonaro ha inizialmente accusato Caracas, tornando poi a parlare di “atto criminale” attuato da ignoti per per “pregiudicare un’asta miliardaria di diritti di prospezione di petrolio”. 

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