La rivolta dei Paesi in via di sviluppo, le cui istanze erano state escluse dalla prima bozza di patto sul clima, sono tornate prepotentemente alla ribalta
(Rinnovabili.it) – La sollevazione dei 134 membri del G77, il gruppo ombrello dei Paesi in via di sviluppo, ha smosso i colloqui sul clima di Bonn. Gli Stati più poveri si erano rivoltati contro la bozza di accordo proposta dai due presidenti UNFCCC all’inizio di ottobre, poiché aveva escluso tutte le loro rivendicazioni in tema di finanziamenti climatici e meccanismo loss and damage. Non per nulla piaceva agli Stati Uniti e al mondo dell’industria. Dalle iniziali 10 pagine, il testo adesso è salito a 34.
Al contempo, però, il G77 ha abbandonato la sua richiesta ai Paesi ricchi di impiegare l’1% del Pil per aiutare l’innesco di una rivoluzione verde. Uno scambio di favori, dunque, che per ora fa parlare molto, cambiando in realtà molto poco. L’unica cosa certa è che il tempo non gioca a favore dei negoziatori. Fra due giorni si conclude l’ultimo vertice preparatorio alla COP 21, e il testo dell’accordo è ampiamente insufficiente a garantire che dal 2020 assisteremo ad un cambio di prospettiva.
«Se costruiamo l’accordo sul clima di Parigi sui misura degli Stati Uniti e di altri Paesi ricchi, molte delle persone nel mondo in via di sviluppo non sopravvivranno agli impatti dei cambiamenti climatici», è la pesante dichiarazione di Harjeet Singh, direttore della politica climatica per ActionAid.
L’aspetto finanziario è uno degli aghi della bilancia in questi negoziati sui cambiamenti climatici, legandosi ad una serie di questioni controverse, tra cui l’adattamento, la mitigazione e il meccanismo loss and damage. Le economie meno sviluppate dicono di aver bisogno di fondi per adattarsi a futuri eventi meteorologici estremi, mitigare le emissioni di carbonio, la transizione verso le rinnovabili e per investire in sistemi di allerta precoce.
Un recente studio dell’OCSE rivelava che i finanziamenti per il clima hanno raggiunto i 60 miliardi di dollari nel 2014. Il calcolo comprende fondi pubblici e privati, contributi delle banche multilaterali e crediti all’esportazione. Molti ritengono che l’OCSE, forum che rappresenta i Paesi ricchi del mondo, abbia esagerato questi dati, includendo i flussi di denaro non direttamente legati ai cambiamenti climatici.
La maggior parte delle banche, inoltre, investono solo in cambio di un ritorno, conseguibile più facilmente installando un impianto fotovoltaico che non costruendo una barriera contro l’innalzamento del livello del mare. Così, le misure di adattamento vengono snobbate dai finanziatori, più interessati al business che alla sorte delle comunità a rischio. Questo è un problema che molti sperano verrà risolto a Parigi. Una nuova aggiunta al testo in discussione a Bonn [pagina 12, comma 6 bis] prevede che il 50% di tutti i flussi di finanziamento venga destinato ad opere di adattamento.