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Molluschi, gli Highlander del mare

Cambiamenti climatici e vita nel mare. Uno studio internazionale a cui partecipano l’Università di Bologna e il CNR mostra che i molluschi hanno grande capacità di resilienza anche in condizioni ambientali sfavorevoli. Quindi riusciranno a sopravvivere anche al riscaldamento globale, ma a una condizione: che si limiti l’impatto delle azioni antropiche

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Foto di M. Maggs da Pixabay

(Rinnovabili.it) – I molluschi dell’Adriatico riusciranno a sopravvivere anche al riscaldamento globale. Una specie di Highlander del mare. Qual è il segreto della loro sopravvivenza, anche in condizioni ambientali sfavorevoli?

Lo svela lo studio Resilient biotic response to long-term climate change in the Adriatic Sea pubblicato dalla rivista “Global Change Biology” da un gruppo di ricerca internazionale coordinato da Daniele Scarponi, docente del dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Bologna.

Gli altri componenti del gruppo sono Rafa Nawrot (Università di Vienna), Michele Azzarone, (Università di Vienna), Micha Kowalewski (Università della Florida). Per il CNR partecipano allo studio Claudio Pellegrini, Fabiano Gamberi e Fabio Trincardi (Istituto di Scienze Marine, Ismar-CNR).

I fossili raccontano l’adattamento dei molluschi

Lo studio mostra che la fauna marina dell’Adriatico si è adattata alle trasformazioni climatiche degli ultimi 130mila anni.  

Questi risultati sono un parametro di riferimento «per valutare l’impatto dell’attività umana sulle regioni costiere che, tra inquinamento, pesca intensiva e introduzione di specie invasive, rischia di portare queste aree al di fuori deli limiti di adattabilità degli ecosistemi marini», spiega Scarponi.

Le anomalie generate dal cambiamento climatico sono sempre più frequenti, ma si misurano su intervalli temporali brevi, al massimo alcuni decenni. Altrimenti bisogna ricorrere alle simulazioni basate su modelli teorici che riservano ampi margini di incertezza.

I ricercatori hanno scelto una terza via. Hanno prelevato 223 campioni di depositi costieri e analizzato i resti fossili della fauna marina dell’Adriatico che popolava zone poco profonde e influenzate dalla presenza di sistemi fluviali.

I fossili appartengono a tre diversi periodi temporali: precedente interglaciale (120mila anni fa, quando il Mediterraneo era più caldo, condizione che potrebbe avvicinarsi allo scenario futuro), ultimo periodo glaciale (20mila anni fa, con temperature medie di circa 6° più basse di quelle attuali) e circa 5mila anni fa (temperature simili a quelle attuali, ma precedenti all’impatto dell’azione umana sugli ambienti costieri).

L’azione umana fa la differenza

Il confronto tra i diversi fossili mostra una fauna resiliente: i molluschi hanno cambiato la propria struttura di fronte al variare del clima e si sono ricomposti quando le condizioni sono tornate simili alle precedenti.

Lo studio ha evidenziato inoltre che la strategia di sopravvivenza dei molluschi consiste nel trasferirsi lentamente in funzione dei cambiamenti climatici naturali, come spiega il sedimentologo Fabio Trincardi, direttore del dipartimento Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente (DSSTA) del CNR.

Pertanto, secondo gli studiosi i molluschi sono in grado di adattarsi a un aumento ridotto delle temperature medie a patto che si limiti l’impatto delle azioni umane: «Le modifiche strutturali dell’ambiente costiero ad opera dell’uomo, le attività di pesca intensiva e di acquacoltura, così come l’inquinamento delle acque stanno modificando la composizione degli ecosistemi nell’Adriatico.

L’impatto di queste azioni sulla varietà e sull’abbondanza delle specie marine è già oggi molto più forte di quello generato dalle naturali variazioni climatiche avvenute negli ultimi 130mila anni», sottolinea Scarponi.

Nell’ultimo milione di anni si sono succedute glaciazioni e periodi interglaciali caldi in modo naturale, la differenza nei cambiamenti climatici attuali è dovuta all’attività antropica. I fertilizzanti in agricoltura e la pesca a strascico sono due potenti elementi di pericolo per la sopravvivenza dell’ecosistema marino.