Rinnovabili • Estinzione di massa: perché sbagliamo a stimare le specie a rischio?

Le nostre stime sull’estinzione di massa in corso sono sbagliate

Uno studio sintetizza i dati di oltre 1000 esperti di biodiversità da tutto il mondo, dando il giusto peso anche a donne e chi proviene dal Sud globale. Sui driver di perdita di diversità biologica c’è vasto consenso, non sui rimedi

Estinzione di massa: perché sbagliamo a stimare le specie a rischio?
Foto di Cassidy Marshall da Pixabay

Nel 2100, il 37% delle specie sarà estinto o a rischio

(Rinnovabili.it) – Senza uno sforzo poderoso nella conservazione di specie e habitat, andiamo incontro ad un’estinzione di massa che può coinvolgere 1 animale e pianta su 3. Dal 1500 fino a oggi, infatti, circa il 30% delle specie è entrato nella zona di rischio estinzione oppure si è già estinto. Una percentuale che ha un margine d’errore elevato e può oscillare da un più rassicurante 16% a un ben più fosco 50%. Tenendo la stima mediana, se non agiamo ora la percentuale salirà fino al 37% entro la fine di questo secolo. Provocando un depauperamento degli ecosistemi che avrà ricadute negative sul clima e sull’uomo.

Sono i numeri stimati da un panel di circa 1000 esperti di biodiversità di tutto il mondo e distillati in un articolo apparso su Frontiers in Ecology and the Environment. Un lavoro prezioso perché, per la prima volta, prova a dare un’immagine davvero globale dell’estinzione di massa in corso e del suo possibile sviluppo futuro. Come? Dando voce anche agli esperti di solito meno rappresentati nel dibattito scientifico, e non per demeriti ma per altri bias, in particolare donne e scienziati del Sud globale. E cercando poi di fare una sintesi unitaria, più bilanciata di quelle disponibili fino a oggi.

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Il risultato è che c’è un consenso molto alto sulle cause della perdita di biodiversità: si tratta di alcuni fattori – soprattutto la crisi climatica, l’inquinamento e il cambio d’uso e lo sfruttamento di terra e acque – che interagiscono tra loro creando dinamiche molto complesse e rinforzandosi l’un l’altro.

Altro punto rilevante: c’è poco consenso sulle strategie di conservazione migliori. Gli scienziati del Nord globale mettono più enfasi sul moltiplicare le aree protette, mentre chi viene da Sud del mondo preferisce puntare sul trovare modi nuovi in cui attività umane, centri urbani e ecosistemi possono convivere.

Infine, le stime attuali sull’estinzione di massa sono probabilmente troppo basse. Anche in questo caso il divario di genere e di distribuzione geografica è rilevante: scienziati donne e provenienti dal Sud globale danno stime più alte, per le aree di loro competenza, rispetto a quelle di riferimento per la comunità scientifica.

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