Anche a Montreal, come alla COP27, il Sud globale prova a strappare un buon accordo sulla finanza per la diversità biologica con i paesi più ricchi. Ma è stallo totale. Anche il target 30 x 30 si sta rivelando più ostico del previsto
Proseguiranno fino al 19 dicembre i negoziati della COP15 sulla biodiversità
(Rinnovabili.it) – Dopo quasi 10 giorni di negoziati, la COP15 sulla biodiversità è ancora bloccata sui dossier più importanti. Il vertice di Montreal ha un compito cruciale: definire i nuovi obiettivi globali di tutela fino al 2030, che saranno fondamentali anche per arginare la crisi climatica e non allontanarsi troppo dagli 1,5 gradi. Finora, però, in Canada i progressi sono pochi e frammentati, e solo sui temi meno divisivi. Sul tavolo pesano come macigni due capitoli dell’accordo: chi mette i soldi per proteggere la natura (e quanti soldi), e quali sono i paletti per tutelare il 30% delle terre e dei mari entro il 2030.
Impasse sulla finanza
Il primo grande scossone alla COP15 sulla biodiversità è arrivato la notte del 13 dicembre. La sessione di negoziati sugli aspetti finanziari è finita all’improvviso con le delegazioni dei paesi in via di sviluppo che hanno lasciato la sala. Una protesta contro le resistenze dei paesi più ricchi ad aprire il portafogli.
È l’effetto Sharm el-Sheikh che si fa sentire anche a Montreal. Visto che alla COP27 in Egitto il Sud globale è riuscito a strappare un accordo storico sulla finanza per perdite e danni, anche in Canada prova a replicare il risultato. Finora senza successo. D’altronde le delegazioni dei paesi in via di sviluppo stanno negoziando in ordine sparso, mentre alla COP27 avevano coordinato ogni mossa. Difficile imporsi o presentare proposte alternative valide senza fare blocco.
Dall’altra parte, i paesi più ricchi non vogliono essere costretti a sborsare altro denaro senza aver prima cambiato le regole del gioco. Anche alla COP15 sulla biodiversità, come in Egitto, il tentativo è di far pagare anche i paesi più abbienti tra quelli in via di sviluppo, come Cina e Brasile. Che da questo orecchio non ci sentono. Così sul tavolo restano due opzioni su cui si litiga. Un target da 200 mld $ l’anno, a cui contribuiscano paesi ricchi e finanza privata. Oppure un obiettivo da 100 mld $ l’anno tutto a carico dei primi. Senza un’intesa, l’accordo finale potrebbe non specificare alcun numero e restare sulle generali.
Così come è in forse un altro capitolo legato alla finanza, quello della cancellazione dei sussidi ambientalmente dannosi. Si punta a fissare la soglia minima a 500 mld $ l’anno, ma dalle ultime bozze sono scomparsi i riferimenti a certi settori chiave, come l’agricoltura. Un modo per rendere fumosi gli impegni. E quindi fallire i target, ancora una volta.
La COP15 sulla biodiversità si spacca anche sul target 30 x 30
Anche l’obiettivo di bandiera della COP15 sulla biodiversità sta traballando. L’idea, da sottolineare in conferenza stampa per poter dire che il vertice è stato un successo, è di fissare come target la protezione di almeno il 30% delle aree terrestri e marine della Terra entro la fine del decennio.
In realtà, questo target è molto contestato, sia dalla società civile che da parte della comunità scientifica. Non è chiaro quanto possa davvero essere efficace se non vengono fissati altri paletti sull’estensione delle singole aree protette e sul tipo di protezione minima richiesta, mentre c’è la possibilità che tutto ciò vada a danneggiare le comunità indigene.
Nel frattempo, i negoziati sono fermi ancora prima di arrivare a discutere questi nodi. A Montreal si sta ancora parlando della natura dell’obiettivo, se a livello globale o nazionale.