I dati Eurostat fotografano una situazione in progressivo peggioramento. Nonostante gli sforzi degli ultimi decenni, l’aumento della pressione antropica tramite urbanizzazione e pratiche agricole continua a far peggiorare lo stato di conservazione di molte specie animali e dei loro habitat
Sulla biodiversità, l’UE si sta allontanando dagli SDG
(Rinnovabili.it) – Negli ultimi 5 anni, quasi tutti gli indicatori della biodiversità e della salute degli ecosistemi in Europa sono peggiorati. Anche se veniamo da decenni di direttive UE e leggi nazionali a tutela dell’ambiente. “Nonostante l’aumento delle aree protette, molti habitat e specie terrestri nell’UE non hanno raggiunto uno “stato di conservazione favorevole””: la sentenza arriva da Eurostat, nel corposo dossier in cui fa il punto sui progressi europei verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG).
Un dossier da cui spuntano delle contraddizioni apparenti. L’UE è sulla buona strada per arrivare a proteggere il 30% del territorio entro fine decennio. Ma questo non si traduce in un miglioramento dello stato di conservazione di molte specie animali e degli habitat. Anzi. Per il 63% delle specie e l’81% degli habitat, lo stato di conservazione è “povero” e una quota davvero minoritaria mostra tendenze al miglioramento (rispettivamente il 6 e il 9%), mentre peggiorano circa 1/3 sia delle specie che degli habitat.
Leggi anche Uccelli, l’Europa è un hotspot della perdita di biodiversità avicola globale
Una delle cause principali è l’aumento della pressione antropica. Urbanizzazione e pratiche agricole continuano a far deteriorare la biodiversità europea. Lo si vede dall’analisi delle specie di uccelli, che per alcune caratteristiche (ad esempio, la facilità di spostarsi in cerca di condizioni più favorevoli) sono i migliori indicatori dello stato di salute di un ecosistema. I dati dell’indice UE degli uccelli comuni mostrano un calo del 13,3% delle specie di uccelli comuni e un “drastico calo” del 36,9% delle specie di uccelli delle terre agricole tra il 1990 e il 2020. Le specie di uccelli forestali sono invece diminuite meno, del 3,3%.
“Il declino degli uccelli comuni dei terreni agricoli è stato in gran parte attribuito all’intensificazione dell’agricoltura, che ha ridotto gli habitat naturali di nidificazione come siepi, zone umide, prati e campi incolti. Anche i prodotti agrochimici, come i pesticidi, e i cambiamenti nei tempi di aratura dei cereali hanno influito sugli uccelli delle terre agricole comuni, interrompendo la riproduzione e riducendo le fonti di cibo disponibili”, spiega Eurostat.
Leggi anche Biodiversità: la strage silenziosa degli impollinatori
Un indicatore ancora migliore sono le farfalle, tra i più comuni impollinatori. Su questo fronte, l’indice europeo (calcolato su 1/3 delle specie di farfalle presenti sul continente, e con dati solo di 17 stati su 27) segna un declino di oltre il 25% tra il 1991 e il 2018 nelle popolazioni di questi insetti. Gran parte di questa diminuzione si è verificata negli ultimi 15 anni, con un calo dell’indice del 19,8% tra il 2003 e il 2018. “Le cause di questo declino possono essere attribuite ai cambiamenti nell’uso del territorio rurale, in particolare a causa dell’intensificazione dell’agricoltura, dell’uso di pesticidi e dell’abbandono dei terreni in montagna e nelle regioni umide, soprattutto nell’Europa orientale e meridionale. La perdita di praterie seminaturali è stata particolarmente dannosa”, conclude Eurostat.