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L’Antropocene fa “correre” gli animali verso l’estinzione

Uno studio di 2 università australiane rileva che anche le attività umane che arrecano un disturbo occasionale agli animali hanno un impatto profondo

L’Antropocene fa “correre” gli animali verso l’estinzione
credits: PublicDomainPictures da Pixabay

Una misura dell’Antropocene? L’aumento vertiginoso del movimento degli animali

(Rinnovabili.it) – Le attività umane hanno un impatto profondo sugli ecosistemi e costringono animali e piante a mettere in campo tutti gli strumenti a disposizione per adattarsi a un cambiamento così rapido. E una delle misure di quanto è pervasivo l’Antropocene, l’età in cui il biota terrestre è determinato in maniera decisiva dall’uomo, arriva dai movimenti delle specie animali.

Un team di ricercatori delle università australiane di Sidney e di Deakin hanno studiato le variazioni nel movimento delle specie animali e la correlazione con le attività dell’uomo. L’obiettivo della ricerca era cercare di cogliere la portata anche di quelle attività apparentemente meno impattanti sui comportamenti degli animali. Mentre fenomeni come, ad esempio, la deforestazione, il consumo di suolo o l’inquinamento da microplastiche degli oceani hanno effetti noti, o perlomeno molto studiati, decisamente di meno si sa di attività umane come la caccia o certi tipi di turismo.

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Risultato? Attività come le doppiette, i passaggi di aerei, le attività militari e quelle ricreative, per quanto occasionali, hanno un impatto visibile, duraturo e profondo sui comportamenti degli animali. Soprattutto nei pattern di mobilità, con un’incisività circa 3 volte maggiore rispetto ad attività che modificano drasticamente gli habitat naturali, come disboscamento o agricoltura.

Nello specifico, i movimenti degli animali vengono aumentati ben del 70% in risposta a disturbi di tipo occasionale. Maggior movimento significa maggior dispendio di energie, un fattore critico nella lotta per la sopravvivenza. Ma anche adattamento ad ambienti differenti. Anche queste attività – che lo studio suggerisce di regolamentare il più possibile, se non è disponibile l’opzione di tutelare in modo massiccio certe aree e regioni con forme di protezione ad hoc – possono quindi favorire il processo di perdita di biodiversità in corso.

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“Il movimento è fondamentale per la sopravvivenza degli animali, ma può essere interrotto da disturbi umani”, spiega Tim Doherty, prima firma dello studio. “Gli animali adottano meccanismi comportamentali per adattarsi all’attività umana, ad esempio fuggendo o evitando gli umani, viaggiando ulteriormente per trovare cibo o compagni o trovando un nuovo rifugio per evitare umani o predatori”.

La ricerca è stata condotta analizzando 208 studi scientifici precedenti che si sono concentrati su 167 specie animali lungo l’arco di quasi 40 anni. Le specie coperte dallo studio includono uccelli, mammiferi, rettili, anfibi, pesci e artropodi.