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Approvato dall’ONU il Trattato sull’alto mare

Inquinamento, pesca, miniere sottomarine e idrocarburi ora saranno normati dal Trattato sull’alto mare, che richiede valutazioni di impatto ambientale

trattato sull'alto mare
Via depositphotos.com

(Rinnovabili.it) – Anche la biodiversità marina adesso ha un accordo internazionale vincolante che ne dovrebbe garantire la protezione. Dopo anni di negoziati, ieri 193 paesi membri ONU hanno adottato il Trattato sull’alto mare, cioè per le aree marine non costiere.

Si tratta dei due terzi degli oceani del pianeta, e mancava fino ad oggi di norme per frenare l’inquinamento, le attività di pesca industriale, l’estrazione petrolifera e il deep sea mining. Il documento è stato prodotto dalla Conferenza intergovernativa sulla biodiversità marina delle aree oltre la giurisdizione nazionale (BBNJ) e contiene 75 articoli. 

L’impatto del trattato sulle profondità marine

Il trattato, concordato a marzo dopo cinque round negoziati guidati dalle Nazioni Unite, ora deve essere firmato e ratificato da almeno 60 paesi prima di entrare in vigore. Ma l’adozione segna una svolta nello sforzo di proteggere l’alto mare e preservare la vita acquatica. L’obiettivo è ora far ratificare il trattato entro giugno 2025, quando si terrà in Francia la Conferenza sull’Oceano delle Nazioni Unite.

Con questo accordo, dovrebbero migliorare la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse marine. Fino ad oggi 20 organizzazioni concorrevano nel controllo e nella regolamentazione di diversi settori, come la pesca, il trasporto marittimo, il turismo e la protezione ambientale. Tuttavia, tutte le normative e le disposizioni si applicavano solo a una fascia di 200 miglia nautiche (370 chilometri) dalla costa. Le acque internazionali, su cui i singoli stati non hanno potere, erano un po’ il selvaggio west delle imprese

Più di 17 milioni di tonnellate di plastica sono entrate negli oceani del mondo solo nel 2021, pari all’85% dei rifiuti marini. Il trattato mira a rafforzare la resilienza di questi delicati ecosistemi e contiene disposizioni basate sul principio “chi inquina paga”, inclusi meccanismi per risolvere le controversie. Inoltre, le parti devono valutare i potenziali impatti ambientali di qualsiasi attività pianificata al di fuori delle loro giurisdizioni. Anche se non sono stati esplicitamente elencati, settori come il deep sea mining (l’estrazione mineraria in mare aperto) dovrebbero rientrare in quest’obbligo.

Un compromesso per il Sud globale

Il Trattato include anche il riconoscimento dei diritti e delle conoscenze tradizionali delle popolazioni indigene e delle comunità locali, la libertà della ricerca scientifica e la necessità di una giusta ed equa condivisione dei benefici derivanti dalle “risorse genetiche marine” recuperate dalle spedizioni scientifiche. I paesi in via di sviluppo, che spesso non hanno il denaro per finanziare queste spedizioni, hanno lottato per i diritti di condivisione dei benefici, nel tentativo di partecipare a quello che molti vedono come un enorme mercato futuro nella commercializzazione di queste risorse, soprattutto da parte delle aziende farmaceutiche e cosmetiche. 
Dovrebbero essere messi a punto strumenti di gestione territoriale, comprese le aree marine protette, per conservare e gestire in modo sostenibile gli habitat e specie animali in alto mare.