In questo periodo dell’anno si riaccende l’eterna disputa tra i sostenitori dell’albero di Natale naturale o di quello finto. Impatto e convenienza ambientale dipendono da vari fattori: capire le differenze tra le due tipologie può aiutare orientare nella scelta
(Rinnovabili.it) – Vero o finto? La scelta dell’albero di Natale impegna ogni anno chi ha una discreta sensibilità ambientale. I sostenitori di quello finto si sentono a posto con la coscienza e ritengono di aver avuto un impatto ambientale pari a zero, convinti che acquistare un albero di Natale di plastica può salvarne uno vero. Ma è davvero così?
Se pensiamo al numero di alberi di Natale che si fanno ogni anno nel mondo è facile rendersi conto dell’impatto della nostra scelta. Dato per scontato che nessuno rinuncerà a fare l’albero, dobbiamo chiederci: cosa produce più anidride carbonica? Qual è la scelta ecologicamente corretta? È opportuno precisare che gli alberi finti provengono dalla Cina (già il solo trasporto ha un impatto ambientale importante) e sono prodotti in due tipologie: la versione base, più economica ma anche più bruttina, e quella cosiddetta “premium”, più costosa ed esteticamente migliore.
Le norme sulla coltivazione degli alberi di Natale sono piuttosto severe, e il Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari dell’Arma dei Carabinieri vigila sul loro rispetto. Due sono i tipi di albero che si possono acquistare: quelli che vengono da apposite piantagioni di specie autoctone (abeti rossi Picea abies e abeti bianchi Abies alba), quindi si tratta di una coltivazione agricola come tante altre, e i cosiddetti “cimali”, cioè quelli senza radici, ovvero le cime di alberi che vengono tagliati nei boschi per la produzione di legno o per fare diradamenti.
L’Università di Firenze ha una lunga tradizione di studi in materie agro-ambientali che oggi si avvalgono di tecnologie molto avanzate. Qui è stato effettuato uno studio sull’impatto ambientale degli alberi di Natale. Ne abbiamo parlato con il prof. Giacomo Goli, professore associato nel Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (DAGRI) dell’Università di Firenze.
L’Università di Firenze ha una scuola forestale fin dal 1924. Come si articola il corso di laurea in Scienze forestali e ambientali e quali sono i suoi sbocchi professionali?
Le scienze forestali nascono in Italia 150 anni fa a Vallombrosa (FI) con la fondazione del Regio Istituto Superiore Forestale. Questo fu poi trasferito a Firenze nel 1913 e con il decreto di fondazione dell’Università di Firenze del 1924 fu in essa inglobato. Le scienze forestali moderne sono una disciplina estremamente tecnica e multidisciplinare che cerca di mediare tra le esigenze produttive e di conservazione della natura, della biodiversità e del paesaggio. I mezzi moderni dei forestali sono i sistemi informativi territoriali, i satelliti, i droni, i modelli matematici integrati con le conoscenze di botanica, pedologia, genetica, selvicoltura, patologia, ecologia, legislazione, utilizzazioni forestali e tecnologia del legno. Queste competenze si possono acquisire a Firenze così come in altre sedi italiane. A Firenze è attivo un corso di studi triennale in Scienze Forestali Ambientali a cui può seguire una laurea magistrale in Scienze e Tecnologie dei Sistemi Forestali. Oltre a questi è attivo un corso di studi triennale professionalizzante in Tecnologie e Trasformazioni Avanzate per il Settore Legno-Arredo/Edilizia che mira a formare competenze tecniche 4.0 per il settore del legno. I forestali trovano occupazione negli enti territoriali (regione, comuni, città metropolitane), negli enti locali (comunità montane, unioni dei comuni, consorzi), nei parchi, nei Carabinieri Forestali o nei Corpi Forestali Regionali, presso privati che gestiscano grandi appezzamenti forestali o come liberi professionisti che si occupano sia di gestione forestale che di verde pubblico e privato. Sia i laureati triennali che magistrali possono iscriversi all’Ordine Nazionale Periti Agrari e Forestali e operare all’interno delle competenze che lo caratterizzano.
Il bosco è un ecosistema complesso. Quanto risente dei cambiamenti climatici? Possiamo considerarlo una risorsa rinnovabile?
Il bosco è indubbiamente un sistema complesso e multifunzionale, per questo le scienze forestali devono avere un approccio estremamente multidisciplinare. Il legno è una risorsa rinnovabile che è opportuno utilizzare al posto di altre risorse non rinnovabili. Il lavoro svolto sull’albero di Natale ne è una testimonianza. Compito dei forestali è quello di programmare l’utilizzo responsabile del bosco così da permettere alla risorsa legno utilizzata di rinnovarsi e continuare ad apportare i suoi benefici nel tempo, non solo in termini di produzione di legno ma anche di protezione idrogeologica, conservazione della biodiversità, fruizione. Oggi l’Italia è uno dei paesi più cauti nell’utilizzo dei boschi, questo vuole dire che una buona parte della crescita annua dei boschi non viene utilizzata, cosa che ha portato il patrimonio forestale a crescere molto negli ultimi decenni. I tempi con cui si riforma la risorsa legnosa possono variare dai 15 ai 20 anni per le utilizzazioni dei cedui fino agli 80 o 120 anni per le fustaie. Sono tempi lunghi ma a cui i forestali sono abituati e che non ci devono fare paura. Il forestale deve avere una grande capacità di guardare oltre se stesso e anche di accettare che in molti casi non vedrà mai il frutto del proprio lavoro. Mi ha fatto molto piacere vedere come nel 2019, su monte Morello, la montagna sopra Firenze, sia stato dedicato un sentiero all’opera dell’ispettore forestale Domenico Mariani, direttore del rimboschimento di monte Morello nei primi del Novecento. Opera che ha garantito, come in molte altre parti d’Italia, la protezione idrogeologica e che oggi permette la fruizione di questi boschi a miglia di persone che si muovono a piedi e in mountain-bike.
È corretto affermare che l’acquisto di alberi di Natale veri impoverisce i boschi?
Affermare che l’albero artificiale protegga la natura è assolutamente falso. Prendendo ad esempio il Casentino, la zona dove abbiamo svolto il nostro studio, l’albero di Natale naturale è coltivato da piccole aziende agricole che utilizzano terreni che altrimenti sarebbero abbandonati impiegando sistemi agricoli a bassissimo impatto. Le fertilizzazioni sono di piccola entità e rare così come le lavorazioni del terreno. Abbiamo infatti dimostrato come, preso come riferimento un abete naturale di 1,5 metri di altezza, considerando soltanto i processi agricoli e industriali, questo impatti 15 volte meno di un abete artificiale di tipo base, con chioma poco folta, e 38 volte meno di un abete artificiale con chioma molto folta. Quindi nel caso dell’abete premium, pur sostituendo l’albero naturale tutti gli anni ci vogliono 38 riutilizzi dell’abete artificiale perché questo diventi conveniente da un punto di vista di impatti sul riscaldamento globale. A questi dati andranno poi aggiunti gli smaltimenti e il fatto che l’albero naturale sia di origine biologica, il che porterà quello naturale ad essere ancora più conveniente. L’albero senza radice potrebbe essere ancora più conveniente perché spesso si utilizzano cimali di alberi abbattuti per fare legname da opera, e quindi senza impatti di coltivazione, oppure alberi di vivaio lasciati invecchiare che essendo trasportati senza zolla impattano meno in termini di trasporto.
Lapo Azzini ha smentito alcuni luoghi comuni sugli alberi di Natale nella sua tesi di laurea magistrale in Scienze e tecnologie dei sistemi forestali della Scuola di Agraria dell’Università di Firenze. Il suo studio, svolto su un campione di aziende del Casentino e con la collaborazione della Coldiretti di Arezzo, ha permesso di confrontare le emissioni di CO2 tra abeti naturali e di plastica.
Perché l’albero di Natale di plastica non è ecologico, come alcuni credono? Qual è la differenza di costo ambientale tra vero e finto?
Principalmente perché un albero artificiale è composto di metallo, plastiche ed altri componenti la cui produzione comporta un impoverimento delle risorse non rinnovabili presenti sul pianeta, in particolar modo di componenti fossili da cui derivano le plastiche, oltre che all’emissione di tutta una serie di sostanze inquinanti, fra cui composti che contribuiscono all’aumento del riscaldamento globale.
Per quanto riguarda gli impatti ambientali, parlando per semplicità della sola CO2, dallo studio effettuato risulta che in base a fattori come la tipologia di smaltimento o la quantità di materiale presente nell’albero artificiale la controparte naturale risulta grossomodo dalle 10 alle 30 volte meno impattante. Questo però non significa che l’albero di plastica risulti per forza la scelta meno ecologica, in quanto a differenza di un albero naturale, che spesso viene acquistato nuovo ogni anno, il primo può essere riutilizzato per più anni di seguito, ammortizzando i suoi impatti nel tempo; è dunque possibile, utilizzando per più anni di seguito lo stesso albero di plastica, arrivare a pareggiare le emissioni prodotte dall’acquisto di un nuovo albero di Natale vero ogni anno, se non addirittura raggiungere un “impatto” migliore. Il fattore discriminante è semplicemente il tempo di utilizzo dell’uno o dell’altro prodotto.
Come regolarsi per l’acquisto? Esiste una certificazione di provenienza degli abeti?
Tutti i produttori in teoria sono tenuti ad applicare a ogni pianta venduta un’etichetta che specifica che si tratta di un albero coltivato appositamente per essere impiegato come albero di Natale; di solito viene indicata anche la specie, ma oltre alle differenze estetiche non è che questa cosa influisca a livello di impatti, dato che i trattamenti colturali effettuati (almeno nelle aziende da me visitate) sono uguali per tutte le specie.
Alla fine delle feste l’albero si secca irrimediabilmente, ma nel caso fosse ancora vivo, dove bisogna ripiantarlo?
Si può tranquillamente mettere in un vaso, o nel giardino di casa se si ha disponibilità; nel bosco meglio evitare, così come suggerito anche dalle linee guida proposte dal Dipartimento di Scienze e Tecnologie agrarie, ambientali e forestali (DAGRI) dell’Università di Firenze, per non rischiare di inserire involontariamente possibili fattori di disturbo. Inoltre, per aumentare ancora di più le possibilità di sopravvivenza dell’albero sarebbe consigliabile non tenerlo troppo vicino a fonti di calore diretto in casa e una volta terminato il periodo di Natale non metterlo subito fuori, dove lo sbalzo repentino di temperature potrebbe rappresentare uno stress troppo elevato. La cosa migliore sarebbe farlo “acclimatare” per qualche giorno in una zona più fredda della casa: un garage o una veranda sarebbero opzioni perfette.