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Africa e Asia a rischio rivolte per la scarsità d’acqua

Aumento della popolazione, crescita della domanda di cibo e scarsità d'acqua stanno portando i Paesi poveri verso disordini civili

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Credit: Bob Metcalf – Public domain

 

(Rinnovabili.it) – Le tensioni in alcuni Paesi in via di sviluppo dovute soprattutto alla scarsità d’acqua potrebbero presto sfociare in disordini civili, secondo un rapporto di Global Footprint Network e UNEP. In realtà a creare il mix esplosivo è un insieme di fattori ambientali e sociali, come l’aumento della popolazione mondiale e la conseguente crescita della domanda di cibo, insieme alla sempre più preoccupante carenza idrica. Tutto ciò potrebbe portare ad un raddoppio del prezzo dei prodotti alimentari e innescare le rivolte.

La domanda sta crescendo esponenzialmente in Paesi come la Cina: a un lieve aumento di benessere ha fatto seguito un trend analogo nella domanda di carne. La produzione alimentare tuttavia è sempre più gravemente influenzata dal cambiamento climatico, il che lascia poco margine di manovra tra domanda e offerta. Il pianeta, ormai, è a corto di terra coltivabile e di acqua.

L’ultima volta che il mondo ha visto una grave crisi alimentare è stato nel periodo 2007-2008, dice il rapporto, quando gli eventi meteorologici estremi hanno colpito regioni grandi produttrici di grano, causando picchi della domanda e un aumento del costo del cibo. Questo ha portato disordini sociali e politici in Nord Africa, Medio Oriente, Sud-Est asiatico e Asia meridionale.

La relazione dice che la maggior parte di questi Paesi, vale a dire Marocco, Bangladesh, Tunisia e Indonesia, sono di nuovo a rischio se i prezzi del cibo tornano a crescere nei prossimi anni.

Utilizzando dati reperiti da 110 nazioni, lo studio ha rilevato che, se il costo del cibo raddoppia, in 37 di essi la spesa delle famiglie dovrebbe aumentare di oltre il 10%. In Benin, Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal e Ghana si avrebbero gli effetti più gravi in termini percentuali di calo del Pil. Le principali economie emergenti, Cina e India, perderebbero rispettivamente 161 e 49 miliardi di dollari di prodotto interno lordo.

I Paesi più industrializzati, invece, avrebbero scarse ricadute economiche o – talvolta – anche dei lievi vantaggi, come nel caso degli Stati Uniti. Eppure stanno contribuendo ad aggravare il problema a causa del continuo aumento della domanda di carne.