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Tutela degli oceani, la ricetta per non fallire la COP15 sulla biodiversità

Oggi solo il 7% degli oceani è protetto, e meno del 3% con un livello di tutela alto. Bisogna arrivare almeno al 30%, dice l’Onu. Un team internazionale spiega quali sono i criteri da adottare. E condanna la pesca a strascico: da sola, inquina come la Germania

Tutela degli oceani: ecco le aree marine che la COP15 deve proteggere
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Uno studio getta basi scientifiche solide per decidere la migliore strategia di tutela degli oceani

(Rinnovabili.it) – Proteggere almeno il 30% delle aree marine per salvare tutti gli oceani. Questa è la formula individuata dall’Onu sulla base di molti studi scientifici per salvaguardare un bioma, quello marino, fondamentale per la tutela della biodiversità e il contrasto al cambiamento climatico. Adesso uno studio pubblicato su Nature spiega quali sono nel dettaglio le caratteristiche delle aree che andrebbero protette per massimizzare la tutela degli oceani.

Capitolo biodiversità: le aree marine che gli autori della ricerca hanno evidenziato salvaguarderebbero da sole oltre l’80% degli habitat per le specie marine in via di estinzione. Un punto di partenza importante e solido di cui non si potrà non tenere conto tra qualche mese alla COP15 di Kunming. In quell’occasione l’Onu vuole convincere gli Stati a firmare un ‘accordo di Parigi’ per la biodiversità. Sapere esattamente dove puntare lo sguardo e a quali azioni dare priorità è fondamentale per vincere le resistenze dei paesi più recalcitranti e strappare un buon accordo per la tutela degli oceani.

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Non è tutto qua. Lo studio realizzato da un team internazionale di 26 studiosi, infatti, calcola che proteggere quel 30% di aree marine avrebbe ricadute importanti anche per l’industria ittica: aumenterebbero i volumi di pescato oltre 8 milioni di tonnellate.

C’è poi il capitolo delle emissioni. Lo studio passa in rassegna l’impatto antropico sugli oceani e dà per la prima volta una stima accurata del peso di alcune pratiche sul clima e l’ambiente. Nel mirino la pesca a strascico: da sola, a livello globale, è responsabile di un volume di emissioni di CO2 che è pari a quello di tutto il comparto aereo. Se fosse un paese, la pesca a strascico inquinerebbe come la Germania.

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“Non esiste un’unica soluzione migliore per salvare la vita marina e ottenere questi altri benefici. La soluzione dipende da ciò che interessa alla società o a un determinato paese e il nostro studio fornisce un nuovo modo per integrare queste preferenze e trovare strategie di conservazione efficaci”, spiega Juan S. Mayorga, coautore dello studio.