Un team di ricercato ha messo a punto una metodologia per stimare la qualità e la quantità dell'acqua nelle falde insulari. Il fine è ridurre l’uso di navi cisterna e aumentare la disponibilità della risorse
Studiate le riserve idriche dell’Isola di Favignana
(Rinnovabili.it) – Aumentare la disponibilità d’acqua e ridurre l’utilizzo di navi cisterna per l’approvvigionamento idrico: questi sono gli obiettivi di una nuova metodologia interdisciplinare messa a punto da un gruppo di esperti ENEA che permette di stimare quantità e qualità delle riserve idriche potenziali nelle falde acquifere delle piccole isole.
Studiando nello specifico il caso dell’isola di Favignana, in Sicilia, attraverso misurazioni idrogeologiche, analisi chimiche delle falde acquifere e calcoli sulla quantità di precipitazioni, i ricercatori hanno individuato sia le possibili riserve idriche di migliore qualità già presenti sull’isola, sia quelle più a rischio salinizzazione a causa dell’intrusione dell’acqua marina. Le riserve idriche potenziali dell’isola, secondo ENEA, potrebbero soddisfare le necessità di 20mila persone con un consumo pro capite giornaliero superiore ai 200 litri d’acqua.
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Favignana è stata scelta come caso studio per le sue particolari caratteristiche climatiche e geomorfologiche e l’impatto dell’afflusso turistico estivo; durante l’alta stagione supera le 60mila presenze a fronte delle 3500 persone che vi risiedono nel corso dell’anno. Come spiega Marco Proposito, parte del gruppo di ricerca, “le comunità delle isole hanno da sempre utilizzato in modo sostenibile le risorse naturali […]. Tuttavia, la crescita del turismo ha reso necessario un approvvigionamento esterno ricorrendo a navi cisterna, dati i costi e le difficoltà tecniche per realizzare dissalatori o condotte sottomarine per portare acqua dolce dalla terraferma”.
È in quest’ottica che la capacità di determinare la quantità di acqua che si infiltra nel sottosuolo alimentando le falde “rappresenta un importante valore aggiunto”, sottolinea Sergio Cappucci, parte del team di ENEA.
Queste ricerche non riguardano però solo le comunità insulari: la “metodologia utilizzata è replicabile in altri contesti– conclude Cappucci – con benefici di rilievo dal punto di vista sociale, economico e ambientale”, soprattutto in un’area, quello del bacino del Mediterraneo, che ha già visto un aumento delle temperature di 1,4°C rispetto all’era pre-industriale e una riduzione delle precipitazioni estive tra il 10% e il 30%.
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