Rilevazioni indipendenti della Guarda Costiera mostrano come in soli due mesi di chiusura si sono registrati “un significativo miglioramento della trasparenza delle acque e un’importante riduzione dei materiali in sospensione". Ma i benefici sembrano già star scomparendo
Gli ecosistemi marini sono riusciti a rifiorire grazie a un minore inquinamento acustico e spazi liberi dalle attività umane
(Rinnovabili.it) – Le acque dei canali di Venezia ne erano già state una prova, ma ora le nuove rilevazioni della Guardia Costiera mettono in luce come, al largo di tutte le coste italiane, la vita marina abbia prosperato grazie ai blocchi dovuti a COVID-19.
Coordinata da Ferdinando Boero, professore di Zoologia all’Università Federico II di Napoli, e da Enzo Saggiomo, direttore della Fondazione Dohrn, una squadra interdisciplinare formata da Carabinieri, Guardia Costiera, Polizia e dalla Divisione sub di Marevivo ha studiato i mari italiani in tempo di lockdown. L’opportunità è stata utile per comprendere quanto siano impattanti le attività umane sugli ecosistemi marini e per documentare un periodo unico di riduzione se non addirittura di blocco completo delle attività antropiche.
I risultati ottenuti dall’operazione denominata “Il mare al tempo del Coronavirus” uniti ad altre rilevazioni autonome della Guardia Costiera sono stati pubblicati in questi giorni. Come spiega Alessandro Mino, comandante dell’Unità di Immersione della Guardia Costiera della Campania, in soli due mesi di chiusura si sono registrati “un significativo miglioramento della trasparenza delle acque e un’importante riduzione dei materiali in sospensione”. Inoltre “aragoste, corvine, cernie e saraghi hanno fatto ascoltare i loro suoni, la loro voce”, grazie alla drastica riduzione dell’inquinamento acustico.
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I miglioramenti negli ecosistemi marini erano comunque visibili anche prima della pubblicazione dei risultati da parte della task force. Già ad aprile era stato avvistato, dopo anni, un branco di capodogli vicino al porto di Milazzo, mentre in Liguria i delfini avevano ripreso possesso delle acque prive di traffico marittimo. “L’ambiente e la vita marina – continua Mino – hanno riacquistato spazi che l’attività umana ha eroso nel tempo”. Ora la situazione sta tornando però a peggiorare, e non solo a causa della riapertura.
Mascherine, guanti usa e getta e flaconi di disinfettante, ormai soprannominati “rifiuti COVID”, si stanno infatti aggiungendo al già grave inquinamento marino. La task force ha riscontrato ovunque al largo delle nostre coste “reti abbandonate, reste di plastica utilizzate nella mitilicoltura, batterie, pneumatici e per ultimi, anche mascherine e guanti conseguenze del Covid-19”. Come conclude Cosimo Nicastro, portavoce della Guardia Costiera, gli ecosistemi marini sono un “patrimonio di bellezza che ci è stato dato in prestito dai nostri genitori, dobbiamo preservarlo e donarlo ai nostri figli e alle generazioni future. Non è qualcosa che ci appartiene”.
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