Il 62% dei cileni ha rifiutato il nuovo testo, in preparazione dal 2020 dopo le imponenti proteste di piazza dell’anno prima che avevano tra l’altro costretto a spostare la COP25 da Santiago a Madrid. Tutto da rifare il processo costituente, che aveva disegnato uno stato “ecologico”. E voleva cancellare lo strapotere dell’industria mineraria sull’acqua
La carta fondamentale riconosceva come diritto umano il diritto all’acqua pubblica
(Rinnovabili.it) – Il Cile non sarà uno stato “plurinazionale, interculturale ed ecologico” che riconosce come valore “intrinseco e inalienabile”, tra gli altri, l’”indissolubile relazione con la natura” degli esseri umani. Così recitava l’articolo 1 della nuova carta fondamentale proposta dal governo di sinistra guidato dal presidente Gabriel Boric. Un testo decisamente progressista che includeva anche il diritto all’acqua pubblica elevato a diritto umano, il concetto indigeno latinoamericano di Buen Vivir che sottende una relazione paritaria con la natura e la necessità di un’azione climatica giusta.
Costituzione che più di 62 cittadini su 100 hanno deciso di rigettare nello storico referendum che si è tenuto ieri, a cui hanno partecipato 13 dei 15 milioni di aventi diritto. Un “No” piuttosto netto, che fa tornare il paese alla vecchia carta fondamentale redatta ancora durante l’era di Pinochet. E fa tabula rasa del processo costituente. Che non si ferma, ma riparte con i partiti di destra e centro-sinistra all’opposizione già seduti al tavolo dei negoziati.
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Il nodo del diritto all’acqua pubblica sarà ancora una volta al centro della discussione. Il Cile infatti ha un enorme problema di disponibilità idrica. Mentre la siccità colpisce un po’ ovunque il paese andino, gran parte del problema dipende dai favori concessi dallo Stato al settore minerario. Il 90% dell’acqua finisce all’industria estrattiva, soprattutto quella del litio e del rame. Solo 1 litro su 10 va alla popolazione. Risultato? Moltissimi paesi in Cile devono far arrivare l’acqua in autobotte. Pagandola a peso d’oro. Una situazione resa possibile anche dalla costituzione cilena firmata Pinochet, l’unica al mondo a specificare che il diritto all’acqua va trattato come proprietà privata.
Nella proposta di carta fondamentale appena bocciata ci sono molti altri passaggi che causato levate di scudi da parte dell’industria e delle opposizioni. Tra questi, il riconoscimento delle risorse naturali come “beni naturali comuni”, sottratti cioè alla mera quantificazione economica, su cui lo stato “ha uno speciale dovere di custodia, al fine di garantire i diritti della natura e l’interesse delle generazioni presenti e future”.
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