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Accordo di Parigi: gli Usa presentano l’exit

A partire dalla campagna elettorale del 2016, la politica di Trump ha puntato alla crescita dell'industria americana, vedendo nell'accordo di Parigi una seria minaccia alla sua personale visione. Dopo aver atteso il tempo necessario, gli Usa presentano una richiesta formale di ritiro, rischiando così di perdere la loro influenza a livello mondiale.

Accordo di Parigi
Credits: Gage Skidmore

L’amministrazione Trump ha richiesto il ritiro degli Usa dall’accordo di Parigi

 

(Rinnovabili.it) – L’amministrazione Trump ha compiuto il primo passo formale per ritirare gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi. Il segretario di Stato Mike Pompeo ne ha dato conferma ieri su Twitter, sottolineando con orgoglio il primato degli Usa in quanto “leader mondiale nella riduzione di tutte le emissioni, nella promozione della resilienza, nella crescita dell’economia e nella garanzia energetica per tutti i cittadini”. A quanto pare, dunque, secondo Pompeo gli Usa avrebbero già fatto il loro dovere e ciò implicherebbe lo scioglimento dai vincoli dell’accordo sul clima. La stessa posizione, d’altro canto, era già stata sostenuta dallo stesso Trump ad Osaka, in occasione del G20, quando durante la conferenza di fine summit aveva affermato: “Abbiamo le acque più pulite di sempre. Abbiamo l’aria più pulita di sempre. Non sono disposto a sacrificare l’enorme potenza che abbiamo costruito in un lungo periodo di tempo né tutto quello che io ho rianimato e migliorato”.

 

 

La decisione della Casa Bianca, infatti, rientra a pieno titolo all’interno di una strategia più ampia, che vede il presidente Trump impegnato nello snellimento della burocrazia per agevolare la crescita dell’industria americana. La mossa decisiva, però, arriva in un momento in cui molti governi e altre superpotenze si sollecitano a vicenda per un’azione più rapida e risolutiva contro gli impatti del riscaldamento globale. Infatti, se gli Stati Uniti dovessero concludere la loro uscita dall’accordo di Parigi, diventerebbero l’unico paese al mondo a rimanerne escluso, dopo che anche il Nicaragua e la Siria hanno sottoscritto l’accordo nel 2017.

 

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La decisione di Trump, però, non stupisce, essendo stata da tempo il perno della sua visione politica a partire dalla campagna elettorale contro la Clinton, che ruotava principalmente intorno alla promessa dell’annullamento dell’impegno sul clima nell’ottica secondo cui l’accordo di Parigi di fatto danneggiava l’economia stelle e strisce, lasciando invece indenni altri grandi inquinatori come la Cina. Tuttavia, il presidente Usa era stato costretto in questi anni a rispettare i tempi e le regole delle Nazioni Unite, dovendo quindi aspettare la data fatidica del 4 novembre 2019 per presentare formalmente i documenti per chiamarsi fuori dagli impegni climatici.

 

Immediata è stata la risposta all’azione di Trump da parte dell’opposizione democratica, la quale ha annunciato che, in caso di vittoria alle prossime elezioni presidenziali, la prima mossa sarà rientrare all’interno dell’accordo. Questa dichiarazione, però, non è solo dovuta ad una più spiccata sensibilità rispetto ai temi ambientali, ma anche alla consapevolezza che, fuori dall’accordo di Parigi, gli Stati Uniti rischiano seriamente di perdere la loro influenza a livello mondiale, anche e soprattutto sui temi della politica energetica. Da questo punto di vista, infatti, non sono mancate le prime avvisaglie.

 

Ieri, durante il primo giorno della sua visita ufficiale in Cina e subito dopo l’ufficializzazione della richiesta di Trump di uscire dall’accordo di Parigi, il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che la cooperazione tra Europa e Cina rispetto alla riduzione delle emissioni di CO2 sarà “decisiva”. Già ad Osaka Cina e Francia si erano impegnate per rivedere i loro contributi contro i cambiamenti climatici e pensare con “la massima ambizione possibile”. Questa posizione è stata ribadita ieri da Macron a Shanghai, e oggi i due stati dovrebbero firmare un documento inerente proprio all’irreversibilità dell’accordo di Parigi.

 

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“A differenza del presidente Trump, questi leader comprendono che la riduzione delle emissioni crea posti di lavoro e protegge le comunità locali, mentre è l’inazione sul clima che costituisce la vera minaccia per la prosperità”, ha affermato Alden Meyer, direttore della Union of Concerned Scientists. Fino alla loro uscita ufficiale, comunque, gli Stati Uniti continueranno a partecipare ai negoziati sugli aspetti tecnici dell’accordo, rappresentati dai funzionari del Dipartimento di Stato.