Le emissioni di metano degli allevamenti sono considerate dannose per l’ambiente. Metriche più accurate cambierebbero i termini del dibattito perché non tutti i gas serra hanno lo stesso impatto né la stessa origine
La circolarità delle emissioni di metano degli allevamenti
Un punto di vista diverso sulle emissioni di metano degli allevamenti è quello di Pietro Paganini, presidente di Competere.Eu – Policies for Sustainable Development. In questa conversazione spiega perché bisogna fare una distinzione tra gas di stock, che si accumulano, e gas di flusso, che seguono cicli naturali rapidi.
Nel 2023 l’Europa ha registrato un calo incoraggiante delle emissioni di gas serra. Facendo una distinzione tra le diverse tipologie di inquinanti l’azione potrebbe essere più incisiva?
La lotta ai cambiamenti climatici sta producendo risultati concreti: nel 2023, le emissioni di gas serra in Europa sono diminuite del 3,2% rispetto al 2022. Questo calo rappresenta un risultato positivo, ma anche un punto di partenza per politiche di transizione ambientale più mirate.
È essenziale però basarsi su un dibattito pubblico scientificamente corretto, che utilizzi terminologie e metriche adeguate. Non tutti i gas serra, infatti, hanno lo stesso impatto né la stessa origine.
Troppo spesso si confondono anidride carbonica (CO2) e metano, ignorandone le differenze fondamentali. La CO2 persiste nell’atmosfera per secoli, mentre il metano ha una durata molto più breve, di 9-12 anni. Questa distinzione tra gas di stock, che si accumulano, e gas di flusso, che seguono cicli naturali rapidi, è cruciale per comprendere e affrontare l’impatto delle emissioni in modo efficace.
Anche le emissioni di metano vanno ulteriormente differenziate. Da un lato, ci sono quelle fuggitive da fonti fossili – perdite durante estrazione, trasporto e distribuzione di combustibili fossili ma anche quelle derivanti dalle miniere di carbone, in particolare quelle abbandonate – che rappresentano il 33% delle emissioni antropogeniche di metano e costituiscono una perdita netta e improduttiva.
Dall’altro lato, ci sono le emissioni biogeniche, legate a processi naturali come la fermentazione enterica e la gestione del letame, responsabili del 31% delle emissioni antropogeniche di metano.
A differenza del metano fossile, quello biogenico è parte di un ciclo naturale a breve termine: viene rilasciato, si ossida in CO2 e viene riassorbito dalle piante.
Riconoscere queste differenze è essenziale per formulare politiche più incisive, che tengano conto della natura e dell’impatto reale delle diverse emissioni.
L’opinione pubblica percepisce la distinzione tra emissioni industriali e zootecniche? Ma soprattutto la percepisce la politica?
No, purtroppo. La percezione pubblica e politica resta confusa, alimentando una polarizzazione anche nel dibattito ambientale.
Settori industriali, materie prime e alimenti vengono spesso accusati senza solide basi scientifiche. Gli allevamenti, per esempio, sono imputati di contribuire significativamente alle emissioni globali di metano, ignorando però la distinzione fondamentale tra metano biogenico e fossile.
Gli allevamenti non solo trasformano biomassa non commestibile per l’uomo in proteine di alta qualità come carne e latte, garantendo sicurezza alimentare globale, ma adottano anche pratiche di economia circolare per ridurre l’impatto ambientale quale la produzione di biogas dai reflui zootecnici che sta abbattendo l’uso di combustibili fossili. Innovazioni recenti, quali l’uso di additivi nella dieta animale per limitare la fermentazione enterica contribuiscono alla riduzione netta degli impatti.
Questi progressi dimostrano l’impegno del settore nel ridurre le emissioni, ma sono spesso ignorati in un dibattito dominato da semplificazioni ideologiche. È essenziale riconoscerli per costruire politiche ambientali più equilibrate e informate.
Lei sostiene che le emissioni degli allevamenti rientrano in un ciclo circolare naturale. In che modo?
Le emissioni di metano degli allevamenti rientrano in un processo circolare naturale, parte del ciclo del carbonio a breve termine.
Le piante assorbono anidride carbonica dall’atmosfera attraverso la fotosintesi, trasformandola in biomassa che alimenta i ruminanti. Durante la digestione, questi emettono metano, che in 9-12 anni si ossida, tornando a essere CO2. Questa viene nuovamente assorbita dalle piante, chiudendo il ciclo.
Al contrario, il metano fossile, derivante da riserve sotterranee, introduce carbonio aggiuntivo nell’atmosfera, aumentando i gas serra.
Gli allevamenti non aggiungono nuovo carbonio, ma lo riciclano in un sistema chiuso. Con pratiche di gestione avanzate, il metano biogenico può essere compatibile con gli obiettivi di sostenibilità, contribuendo all’equilibrio naturale senza incrementare il riscaldamento globale.
Quali azioni può mettere concretamente in atto il settore zootecnico per limitare il suo apporto inquinante? E quale approccio deve adottare la politica?
Il metano, pur avendo una breve durata atmosferica, resta un gas serra significativo.
L’UE, attraverso il Global Methane Pledge del 2020 (un impegno assunto da 159 Paesi nel corso della COP 26), punta a ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030, con implicazioni dirette sulle emissioni umane: già mettendo sotto controllo le emissioni fuggitive (ovvero il rilascio accidentale o dovuto all’invecchiamento degli impianti di sostanze inquinanti a effetto serra), che sono vere e proprie perdite inquinanti, l’obiettivo sarebbe raggiunto. Tuttavia, è cruciale adottare metriche più avanzate che superino il concetto di “CO2 equivalente”.
Paragonare il metano biogenico degli allevamenti a quello fossile delle industrie energetiche è errato, come confondere il fumo di una sigaretta con quello generato dalla cottura di un pasto, attività essenziale.
Il settore zootecnico sta già contribuendo, come detto, riducendo le emissioni con innovazioni quali gli additivi alimentari, gestione dei reflui per produrre biogas e pratiche circolari che ottimizzano le risorse, ma anche con pratiche di zootecnia rigenerativa che aumentano il sequestro di carbonio nei suoli delle aziende in cui si pratica l’allevamento: questa è un’altra enorme differenza fra emissioni zootecniche e industriali perché le prime sono in gran parte compensate dal sequestro di carbonio, per cui in questo caso dobbiamo parlare di bilanci, mentre nel secondo di impatti.
La politica deve sostenere questo impegno con un approccio informato e bilanciato, distinguendo le fonti emissive e valorizzando i progressi. Solo così si potrà ridurre il metano, garantendo sostenibilità ambientale, sicurezza alimentare ed economia circolare.