La rivoluzione verde degli anni Sessanta ha aumentato molto la produttività delle colture, ma le rese sono cresciute anche grazie al massiccio uso di fertilizzanti e pesticidi. Oggi la prospettiva è cambiata. Se prima si puntava a produrre di più, la nuova rivoluzione verde vuole assicurare la sicurezza alimentare nel rispetto dell’ecosistema
Dall’alta efficienza all’agricoltura sostenibile
Alla rivoluzione verde del XX secolo si deve l’aver garantito un livello minimo di sussistenza a molte persone nel mondo. Con il termine rivoluzione verde si fa riferimento al miglioramento delle rese del riso e del grano nei paesi sviluppati, ma anche alle accresciute forniture alimentari che hanno strappato alla fame molti abitanti dei paesi in via di sviluppo.
La rivoluzione verde ha portato un’elevata produttività delle colture (la produzione di cereali è triplicata, più o meno in tutto il mondo) con l’aumento delle aree dedicate all’agricoltura, la semina di due colture, l’impiego dei semi di varietà ad alto rendimento (HYV), sementi geneticamente modificate, infrastrutture di irrigazione, meccanizzazione (trattori e altri macchinari per le lavorazioni in campo). Ma è anche grazie al massiccio uso di fertilizzanti e pesticidi che le rese sono aumentate. Per questo oggi, di fronte alla distruzione dell’ambiente a cui stiamo assistendo e di cui siamo causa, ci si chiede se queste pratiche siano state davvero convenienti.
La crisi climatica ha cambiato le prospettive
La svolta dell’agricoltura è attribuita all’agronomo americano Norman Borlaug che negli anni Quaranta selezionò in Messico nuovi tipi di grano ad alto rendimento resistenti alle malattie. Fu un tale successo che negli anni Sessanta il Messico diventò un esportatore di grano. Sempre negli anni Sessanta, l’India era letteralmente alla fame. Borlaug sviluppò con l’IRRI (International Rice Research Insitute) la varietà di riso ad alto rendimento IR8.
La prima rivoluzione verde era incentrata sull’aumento dell’efficienza per ettaro. Oggi, incalzati dalla crisi climatica, abbiamo cambiato la prospettiva e puntiamo allo sviluppo sostenibile. Nelle pratiche agricole attuali si valutano la salute del suolo, l’impatto ambientale, il consumo idrico, l’opportunità di usare fertilizzanti e pesticidi. Si nutre, giustamente, fiducia nell’innovazione tecnologica e nelle nuove conoscenze.
Tuttavia dobbiamo essere consapevoli del ruolo che giochiamo in questa partita: non basterà la tecnologia a risolvere i problemi ambientali che affliggono il Pianeta se gli esseri umani non si convinceranno a cambiare alcune delle loro abitudini.
Leggi anche Riflessioni per un’agricoltura sostenibile
La seconda rivoluzione verde tra produttività e rispetto dell’ecosistema
La seconda rivoluzione verde si sforza di trovare un punto d’incontro tra le esigenze di assicurare la sicurezza alimentare e il rispetto dell’ecosistema: intende rompere il circolo vizioso che promuove l’economia distruggendo l’ambiente. Il degrado del suolo, la perdita di biodiversità, i danni alla salute delle persone sono dovuti all’eccessiva spinta dell’agricoltura verso la chimica.
Ci troviamo a un bivio. Da un lato i prodotti come i biopesticidi e i biofertilizzanti promettono di ridurre l’uso di input chimici e quindi proteggere gli ecosistemi, dall’altro le erbe infestanti e gli insetti sono diventati sempre più resistenti agli erbicidi e ai pesticidi. Si sono assuefatti all’uso eccessivo di prodotti chimici per lunghi periodi. Sarebbe bene che ci fosse maggiore informazione in proposito, perché ancora troppi agricoltori non si fidano dei prodotti naturali. C’è però una buona notizia: molte aziende agrochimiche hanno cominciato a investire nella ricerca sui bioprodotti.