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Terra Madre, incontro sul futuro dell’alimentazione

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Foto di Devanath da Pixabay

di Isabella Ceccarini

(Rinnovabili.it) – Venti anni fa il giornalista e saggista americano Eric Schlosser scrisse Fast Food Nation, in cui spiegava dove sarebbe andata l’America e dove saremmo andati noi, che seguiamo a ruota i fenomeni che caratterizzano la società americana. A che punto siamo oggi, cosa è cambiato? Se ne è parlato nell’incontro “Terra e cibo: i pomodori fuori dal suolo e la carne coltivata in laboratorio” organizzato da Terra Madre, al quale hanno partecipato anche Paul Ariès (sociologo e politologo francese, autore tra l’altro di Les fils de McDo e Lettre ouverte aux mangeurs de viande qui souhaitent le rester sans culpabiliser) e Winona LaDuke (economista e scrittrice americana, impegnata nella protezione del patrimonio alimentare indigeno da brevetti e ingegneria genetica e cofondatrice dell’associazione Honor the Earth che difende le lotte indigene per la giustizia ambientale).

La tavola è una testimone della civiltà

Per Eric Schlosser molte cose sono peggiorate in venti anni. Il fast food ha aumentato il suo impatto sulle modalità di produzione alimentare; un potere incontrollato che si è manifestato anche sul tipo e sulla qualità e quantità del cibo ingerito, con il risultato che negli Stati Uniti il 75% degli adulti è sovrappeso o obeso, problemi che iniziano a manifestarsi presto poiché riguardano 1 bambino su 7. Le categorie più danneggiate da un’alimentazione scorretta sono le fasce più deboli della popolazione come poveri, neri (il 50% dei neri è obeso), ispanici e minoranze, mentre nelle fasce più alte della popolazione ci sono maggiore consapevolezza e attenzione nelle scelte alimentari. 

Questo tipo di produzione alimentare ha portato all’aumento degli allevamenti, con tutte le scorie che ne derivano. Il problema, tuttavia, non è solo americano: la Cina è un grande produttore di suini, e il nuovo target delle aziende del fast food è l’Africa. Schlosser è ottimista: ci sono opportunità di cambiamento se si formano i consumatori, maggiore è l’educazione meno si consuma cibo spazzatura e meno si diventa obesi. La spirale da cui si deve uscire è che ci sia cibo sano per alcuni e cibo spazzatura per altri, ma è tutt’altro che secondario il fattore costo: non tutti possono permettersi di acquistare cibo più sano e anche più caro.

I nostri nipoti non mangeranno come noi, del resto anche noi abbiamo un’alimentazione diversa da quella dei nostri nonni. L’evoluzione attuale non dipende da cambiamenti climatici e culturali, ma dalle nuove possibilità offerte dalle biotecnologie, sostiene Paul Ariès nell’incontro di Terra Madre. Quello che è certo è che stiamo assistendo a uno snaturamento della tavola, a una sua progressiva “artificializzazione”. La tavola ha sempre avuto un significato sociale, di dimensione relazionale con le persone con cui si condivide il cibo e con il cibo stesso; oggi stiamo assistendo alla perdita del significato simbolico e del piacere connesso alla tavola.

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Noi siamo quello che mangiamo, la tavola può essere considerata una testimone della civiltà: ma quale testimonianza deriva da un’alimentazione artificiale? Chi mangia non sa cosa mangia, e l’alimentazione ha perso il valore della condivisione per diventare un’esperienza solitaria. La pandemia ha fatto in qualche modo riscoprire i vecchi valori dell’alimentazione, il piacere di cucinare e di condividere la tavola, ma questi valori si perderanno con la ripresa delle vecchie abitudini? Secondo Paul Ariès rischiamo di andare verso un’agricoltura cellulare che interrompe il legame fra agricoltura e alimentazione, mentre dobbiamo avvicinare gli agricoltori ai consumatori, affinché questi ultimi si sentano responsabilmente parte della filiera alimentare.

Esperimenti come la fake meat, fatta di cellule staminali e additivi non è la soluzione. Difendere la biodiversità in campo, come fa Slow Food, porterà a fare scelte migliori sugli scaffali e a riempire il frigo secondo altri principi. Lo spreco alimentare negli Stati Uniti, ammonisce Ariès, equivale a 100 miliardi di dollari l’anno: tre volte la cifra che potrebbe risolvere la fame nel mondo. Servono soluzioni politiche per difendere la democrazia alimentare, cambiare le regole dei rifornimenti per privilegiare i prodotti locali. Per Ariès, fame e malnutrizione si risolveranno solo con una presa di coscienza delle persone.

La biodiversità aiuta ad affrontare le sfide del cambiamento climatico

Per Winona LaDuke dobbiamo prenderci cura dell’acqua e dell’ecosistema in generale, preservare la biodiversità, indispensabile per fronteggiare le sfide poste dal cambiamento climatico: posizioni pienamente condivise da Terra Madre. «Coltiviamo cibi tradizionali, patate, carciofi, mais, frumento. Il nostro riso c’è sempre, dobbiamo mantenere quello che è selvatico. Molti cibi sono “intelligenti”, le qualità di riso selvatico crescono sempre, anche con la siccità, quelle di mais antiche crescono più basse perché il clima è secco, ma il raccolto si fa ugualmente». Quello che dobbiamo imparare è il senso “geografico” dell’alimentazione: non ha senso trovare sotto casa un prodotto tipico della Cina piuttosto che della Scozia. Nello stesso tempo dobbiamo andare avanti con la ricerca: in Bolivia e Perù si coltivano molte varietà di patate, ce ne sarà sempre una capace di crescere in condizioni avverse.

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I relatori dell’incontro di Terra Madre giungono ad alcune conclusioni. Schlosser ritiene che l’applicazione della tecnologia non sia inevitabile perché ci vengono in aiuto le conoscenze di generazioni di contadini, che non dobbiamo abbandonare con atteggiamento arrogante. Poi la cultura ci farà scegliere i cibi giusti. Per Ariès la vera opposizione non è tra proteine animali e vegetali ma tra produzione industriale e agricoltura e allevamento contadino: il surriscaldamento terrestre o la crisi idrica non sono causati dall’allevamento o dall’agricoltura dei contadini, ma dai modelli intensivi. Per LaDuke con la pandemia si è mangiato cibo più locale, ma i veri cambiamenti avverranno facendo pressioni perché le politiche nazionali siano realmente attente all’ambiente e ai bisogni della società

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