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Terra dei Fuochi e false verità: i danni all’agroalimentare sano

Intervista a Massimo Fagnano, associato di Agronomia ed Ecologia agraria nel Dipartimento di Agraria dell’Università di Napoli Federico II che spiega cosa c’è dietro a una campagna mediatica che definisce “una vera azione di depistaggio” perché ha portato a identificare tutta la Campania con la Terra dei Fuochi

Terra dei Fuochi

 

 

Ambiente, cibo e salute. Tre parole che sembrano entrare in rotta di collisione con le produzioni agroalimentari della Campania, ritenute responsabili di danneggiare gravemente la salute perché semplicisticamente associate alla cosiddetta Terra dei Fuochi. A distanza di qualche anno da un’incessante campagna mediatica basata su false verità c’è ancora chi non mangia le mozzarelle di bufala o altri prodotti agricoli della regione. Proviamo a capire qual è la differenza tra le verità scientifiche e le bufale (non casearie!) che hanno prodotto danni incalcolabili al comparto agroalimentare campano.

 

Com’è nata la storia della Terra dei Fuochi?

Inizialmente, nel 2000, il termine Terra dei Fuochi è stato coniato per sottolineare l’incivile abitudine di smaltire i rifiuti, sia urbani che speciali, lungo le strade e di dar loro fuoco, con la conseguenza di immettere nell’aria che respiriamo numerose sostanze tossiche che mettono a rischio la salute delle nostre popolazioni. Questa abitudine ha diverse cause (assenza di discariche per rifiuti speciali, lavoro nero ed evasione fiscale, pigrizia e strafottenza della popolazione) e richiederebbe ben altri interventi che, come vedremo, non hanno niente a che vedere con la campagna mediatica e la conseguente ondata di panico che si è sviluppata nel 2013.

Infatti tutta l’attenzione mediatica e gli interventi sono stati concentrati sul settore agricolo e sulla produzione agricola, come capro espiatorio di questo disastro socio-economico e culturale che arrivo a definire una vera azione di depistaggio. La prova è che il fenomeno della presenza di rifiuti ai bordi delle strade, nei terreni incolti o nei siti abbandonati non è stato assolutamente scalfito.

L’ondata di panico del 2013 è nata dalle dichiarazioni di un sedicente pentito che ha ripetuto le stesse rivelazioni che aveva già fatto alla magistratura quindici anni prima. La cosa scandalosa è che i media nazionali hanno dato credito a queste rivelazioni invitando questo criminale a diverse trasmissioni a tema, senza riportare né i dati sui prodotti agricoli (nessuno è stato mai trovato contaminato), né le interviste ai magistrati che dichiaravano che il pentito diceva “balle spaziali” che non avevano trovato nessun riscontro e che non era attendibile, così come non era stato giudicato attendibile anni prima.

 

In ogni caso, tutte le trasmissioni si concentravano sul tema dei prodotti agricoli contaminati che erano la causa dei tumori e dei problemi di salute della popolazione, arrampicandosi sugli specchi per dimostrare una cosa non vera e in qualche caso presentando teorie fantascientifiche (gli esseri umani che mangiano radici di pomodoro come fossero carote o fusti di pomodoro come fossero patate) che sarebbero state comiche se il loro effetto sul settore agricolo non fosse stato invece drammatico.

Un altro risultato è stato che la pressione mediatica ha spinto le istituzioni (Regione e Governo) a concentrare l’attenzione solo sui suoli e i prodotti agricoli: ad esempio, a dicembre 2013 è stato emanato un Decreto Ministeriale per istituire un gruppo di lavoro, nel quale hanno nominato anche me, proprio per mappare l’idoneità dei suoli all’uso agricolo.

 

La zona contaminata interdetta alla coltivazione è di 30 ettari su 50.000. Come fate a restringere l’area a questo perimetro?

I 50.000 ettari sono la superficie agricola dei Comuni che hanno aderito al Patto per la Terra dei Fuochi, i 30 ettari sono quelli che abbiamo classificato come potenzialmente contaminati e in via precauzionale abbiamo proposto per l’interdizione alla produzione agricola, utilizzando criteri molto stringenti. Ad esempio, per far scattare l’interdizione bastava che un solo contaminante nel terreno raggiungesse concentrazioni pericolose per la produzione agricola oppure che la vegetazione, sia coltivata che spontanea, contenesse contaminanti pericolosi per la salute, oppure ancora che ci fossero rifiuti in superficie o che le indagini magnetometriche evidenziassero la possibilità della presenza di rifiuti interrati. Su questi 30 ettari è stata anche prescritta l’eventuale rimozione di rifiuti, l’effettuazione di caratterizzazioni ambientali e delle analisi di rischio per giungere a provvedimenti definitivi.

 

Molti ricordano le immagini dei limoni-mostro o dei pomodori neri. Tutta colpa dell’inquinamento?

Anche qui la questione sarebbe comica se non fosse stato tragico l’effetto sui nostri agricoltori: è stato detto che i nostri pomodori “dal cuore nero esportavano il tumore in tutta Europa”. Qui non è necessario uno scienziato, ma basta uno studente del secondo anno per sapere che il limone mostruoso è frutto delle punture dell’acaro delle meraviglie, tra l’altro un ragnetto che è bioindicatore di salubrità ambientale perché si diffonde solo negli agrumeti incontaminati, oppure che il pomodoro dal cuore nero è in realtà soggetto al marciume apicale, una diffusissima fisiopatia determinata squilibri idrici dovuti all’alternanza tra carenza e abbondanza di acqua. L’inquinamento non c’entra niente, si tratta solo di annunci dovuti all’ignoranza se non alla cattiva fede di chi vuole far crescere l’ondata di panico forse per spingere le autorità a stanziare più fondi per fantomatiche bonifiche.

 

Quali sono state le ripercussioni economiche per il comparto agroalimentare?

La conseguenza non è stato un calo delle vendite, ma un crollo dei prezzi: tutti gli addetti al settore sapevano che i nostri prodotti non erano contaminati però hanno speculato sul danno di immagine, cioè hanno continuato a comprare e vendere in tutta Italia i nostri prodotti agricoli, ma chiedendo sconti ai nostri produttori che sono arrivati fino al 75-80% del prezzo normale. Una vera e propria azione di sciacallaggio che ha fatto fallire decine di aziende agricole e creato centinaia di nuovi disoccupati, il che in una Regione povera e disastrata come la nostra è stato un vero e proprio crimine sociale.

Bisogna dire, per la verità, che i clienti europei al contrario sono stati molto corretti. Quando hanno sentito della campagna mediatica, hanno mandato i loro tecnici che hanno prelevato prodotti, terreni e acque ed hanno fatto le analisi nei loro laboratori. Visto che tutte le analisi hanno dato esiti favorevoli hanno confermato gli ordini senza speculare sui prezzi. Infatti le esportazioni dei nostri prodotti agricoli sono aumentate addirittura più della media nazionale.

Ciò significa che, anche in questo caso, la crisi è stata asimmetrica: ha colpito i piccoli produttori meno organizzati, mentre i grandi produttori, già ben strutturati sui mercati internazionali hanno sofferto la crisi poco o niente.

 

Molti non mangiano la mozzarella di bufala perché la ritengono contaminata e molti addirittura la accomunano alle mozzarelle blu. Possiamo provare a fare chiarezza e rassicurare i consumatori? Quali controlli vengono effettuati e come si riconosce il prodotto sicuro?

Non facciamo confusione: la mozzarella blu era prodotta in Germania e non c’entra con la Campania.

Quando dico che nessuno ha mai trovato prodotti agricoli campani contaminati, significa che proprio nessuno li ha mai trovati, penso al RASFF della Commissione Europea (un sistema di allarme rapido progettato per lo scambio rapido di informazioni tra le autorità nazionali sui rischi per la salute legati ad alimenti e mangimi, ndr), ai nostri clienti della GDO (grande distribuzione organizzata, ovvero il sistema di vendita al dettaglio attraverso una rete di supermercati e di altre catene di intermediari, ndr) e dei mercati europei, all’Istituto Superiore di Sanità, all’Ispettorato Centrale Repressione Frodi, al gruppo di lavoro del Patto per la Terra dei Fuochi di cui ho parlato prima, a noi dell’Università Federico II o all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno che gestisce il programma Campania Trasparente.

 

Proprio questo potrebbe essere l’unico effetto positivo della questione Terra dei Fuochi. La nostra Regione si è dotata di uno strumento di controllo a tappeto della qualità dell’ambiente e dei prodotti agricoli che non ha eguali in Italia e nel mondo: finora sono state effettuate decine di migliaia di analisi, con a una percentuale di irregolarità prossima allo zero. È un sistema di controlli dell’aria, dell’acqua, del terreno delle produzioni vegetali ed animali di un’intera Regione che si propone una volta tanto come modello virtuoso che dovrebbe essere replicato anche nelle altre Regioni.

La nostra è sicuramente la Regione più controllata d’Italia, quindi i nostri prodotti sono assolutamente molto più sicuri dei prodotti di altre regioni o di Paesi extraeuropei che subiscono molti meno controlli o che non sono controllati affatto: se devo dare un consiglio a chi è preoccupato della salubrità di ciò che mangia suggerisco di cercare di evitare i prodotti alimentari provenienti da altri continenti, come l’America e l’Asia, che purtroppo invadono i mercati con prodotti a basso costo ma anche di bassa qualità e di dubbia salubrità.